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Tecnologia dei microarrays

microarrays
( immagine: http://library.thinkquest.org )

I microarrays, o matrici ad alta densità, sono la più recente di una serie di tecniche che sfruttano le caratteristiche peculiari della doppia elica del DNA, ovvero la natura complementare delle due catene e la specificità dell'accoppiamento delle basi.

Infatti, da circa 25 anni, le tecniche standard di laboratorio per il rilevamento di specifiche sequenze nucleotidiche utilizzano una sonda (probe) di DNA, costituita da un piccolo frammento di acido nucleico marcato con un isotopo radioattivo o una sostanza fluorescente. La sonda, rappresentante la sequenza complementare a quella del gene da individuare, viene posta in contatto con un supporto solido (ad esempio, un gel od un filtro poroso) sulla cui superficie sono ancorati acidi nucleici provenienti da un dato genoma. Grazie alla peculiarità degli acidi nucleici di riconoscere le sequenze ad essi complementari, la sonda può legarsi in maniera selettiva al frammento ancorato ad essa complementare così che, semplicemente misurando la presenza e la quantità di marcatore legato al supporto solido, è possibile quantificare se e quanto è stato espresso un determinato gene (Southern et al, 1975).

Questa tecnica applicata per la prima volta da Ed Southern nel 1975, ha aperto di fatto la strada alla possibilità di analizzare i profili di espressione genica di un intero organismo. Tuttavia, l'applicazione su larga scala di questa metodologia si è avuta solo di recente grazie all'utilizzo di supporti solidi non porosi, come il vetro, e alla messa a punto di tecniche fotolitografiche per la sintesi di frammenti oligonucleotidici ad alta densità spaziale. In particolare, i protocolli sviluppati dal gruppo di Pat Brown a Stanford, hanno permesso di ancorare automaticamente migliaia di catene di cDNA su vetrini da microscopio e, grazie alla loro ibridazione con campioni di mRNA marcati selettivamente con molecole fluorescenti, di studiare il profilo di espressione di colture cellulari in stati fisiologici diversi (Brown e Botstein, 1999). Parallelamente, sono state messe a punto tecniche di mascheramento fotolitografico, normalmente utilizzate nell'industria dei semiconduttori, per la produzione di microarray capaci di 400.000 sonde oligonucleotidiche su una superficie di un pollice quadrato (Lipshutz et al, 1999).
Esistono di fatto due tecnologie per la produzione di microarrays: la prima denominata a spotting e la seconda detta in situ.
Nella tecnologia spotting, le sonde da ancorare al supporto solido, normalmente un vetrino da microscopia, sono sintetizzate a parte e quindi depositate sul supporto. Tali sonde possono essere costituite da molecole di cDNA lunghe alcune migliaia di paia di basi le cui sequenze possono essere ricavate da banche dati genomiche (GenBank, dbEST o UniGene) o da librerie proprietarie costituite da cDNA non ancora completamente sequenziato. Nello studio dell'espressione di organismi eucarioti, le sequenze delle sonde sono normalmente ricavate dalle cosiddette Express Sequence Tags (EST), ovvero dalle porzioni codificanti identificate dai singoli progetti genoma. Tali banche dati contengono, assieme alle sequenze, anche tutta una serie di informazioni bibliografiche necessarie, oltre che per la scelta delle porzioni di DNA da depositare sulla matrice, anche per la successiva valutazione dei profili di espressione. Nel caso dei lieviti o di organismi procarioti le sonde sono generate per amplificazione diretta, con primers specifici, del DNA genomico. Selezionate le sequenze da studiare, il cDNA relativo viene prodotto mediante PCR ottenendo così sonde della dimensione da 600 a 2400 bps. Più recentemente, le sonde che vengono depositate sono rappresentate non tanto da frammenti di materiale genomico ottenuto via PCR, quanto piuttosto da sequenze sintetiche di oligonucleotidi lunghe 50-70 paia di basi.
Una volta prodotte, le sonde vengono depositate sul supporto solido, in genere costituito da un vetrino. La deposizione viene effettuata da sistemi robotizzati che mediante l'utilizzo di pennini prelevano le sonde direttamente dalle piastre utilizzate per la PCR e le depositano sul vetrino formando spots di circa 100-150 µm di diametro, distanziati l'uno dall'altro 200-250 µm. Durante la deposizione, il sistema di controllo del robot registra automaticamente tutte le informazioni necessarie alla caratterizzazione ed alla completa identificazione di ciascun punto della matrice (identità del cDNA, coordinate sul supporto, ecc.). Una volta sul vetrino, il probe viene legato covalentemente ai gruppi amminici del supporto attraverso una reazione innescata dall'irragiamento con luce ultravioletta, mentre il cDNA in eccesso viene rimosso con semplici lavaggi dell'array. Infine, il cDNA sul supporto viene reso a catena singola attraverso una denaturazione termica o chimica.

L'altra tecnica utilizzata per la produzione di microarrays è quella detta in situ che, sviluppata da Affimetrix, è frutto dell'interazione di due tecnologie particolari, la fotolitografia e la sintesi diretta in fase solida di oligonucleotidi. La sintesi delle sonde avviene direttamente sulla superficie del supporto solido. In particolare, il supporto costituito da un wafer di silicio viene funzionalizzato con piccole sequenze di oligonucleotidi (oligo-starter). Questi oligo hanno la caratteristica di avere il gruppo reattivo protetto da gruppi fotosensibili e quindi, grazie ad una maschera fotolitografica, è possibile indirizzare la luce in specifiche posizioni dell'array e liberare i siti necessari per la sintesi della sequenza. Una volta deprotetti selettivamente i siti reattivi, è sufficiente incubare la superficie con desossiribonucleotidi protetti per allungare la catena in fase di sintesi. Ripetendo il ciclo di deprotezione grazie all'applicazione di maschere fotolitografiche diverse e di incubazione è quindi possibile aggiungere nucleotidi diversi in posizioni diverse e sintetizzare tutte le sonde necessarie per l'analisi di un dato genoma.

I targets, ovvero gli acidi nucleici da ibridizzare alle catene di cDNA ancorate al supporto solido, sono normalmente ottenuti dalla marcatura dell'mRNA proveniente da un dato organismo per mezzo di molecole fluorescenti. Probes e targets vengono poi messi a contatto per fare avvenire la reazione di ibridazione e dopo alcuni lavaggi per rimuovere i prodotti aspecifici, l'array viene passato attraverso uno scanner per la misura dei segnali fluorescenti. L'intensità dei pixel di ciascuna immagine è proporzionale al numero di molecole di tracciante presenti sullo spot e quindi al numero di probes che hanno ibridizzato le sonde ancorate al supporto.

Di fatto, livelli diversi di fluorescenza indicano livelli diversi di ibridizzazione e quindi di espressione genica. Il segnale rilevato dallo scanner viene poi sottoposto ad algoritmi di filtrazione e di pulizia del segnale e convertito in valori numerici .
In generale, quindi, un esperimento di analisi dei profili di espressione fornisce come risultato una matrice di dati, in cui le righe rappresentano i geni monitorati e le colonne corrispondono alle diverse condizioni sperimentali, quali punti temporali, condizioni fisiologiche, tessuti. Ogni elemento della matrice rappresenta quindi il livello di espressione di un particolare gene in uno specifico stato fisiologico. Ciascuna colonna è data da un vettore che ha tante dimensioni quanti sono i geni o le sequenze immobilizzate sull'array

Tradizionalmente, gli studi di genetica umana si incentravano sullo studio intensivo di uno o pochi geni alla volta. Quando i progetti di ricerca genomica cominciarono a identificare un enorme numero di geni, si cominciò a pensare di sviluppare tecnologie che permettessero un'analisi di geni su vasta scala. A questo proposito è stata messa a punto una nuova tecnica, quella dei microarray.I microarray a DNA, noti anche come DNA chip o chip genici, sono uno strumento importante delle cosiddette "nanotecnologie". Essi sono utili per lo studio dell'espressione genica e di grande interesse per i ricercatori che studiano le basi molecolari del cancro e di altre malattie complesse oltre che, in ambito farmacologico, per l'individuazione di nuovi farmaci.Messi sul mercato nel 1996 consentono di analizzare contemporaneamente l'attività di decine di migliaia di geni (fino a poco tempo fa, i ricercatori potevano analizzare solo un gene alla volta, tanto che si diceva: "un gene, una vita"). I chip sono formati da moltissime molecole di DNA (detti sonde) depositate in una posizione nota su un supporto a formare una microgriglia (da cui il nome microarray) che consente di identificarle in modo univoco. Il supporto di solito è un vetrino da microscopio che ha le dimensioni, più o meno, di un pollice della mano. Ogni sonda è costituita da un segmento di DNA a singola elica di un gene e, nel loro insieme, tutte le sonde di un DNA chip rappresentano tutti, o la maggior parte, dei geni di un organismo.I chip sfruttano una proprietà importante del DNA, ossia l'appaiamento tra basi complementari (la T si appaia con la A e la G con la C) nella sua struttura. Come esempio di applicazione dei microarray consideriamo l'identificazione dei geni peculiarmente espressi o non espressi in un tessuto tumorale rispetto al relativo tessuto normale. Quando i geni sono attivamente espressi, cioè sono attivamente "trascritti", nelle cellule di questo tessuto sarà presente un numero elevato di molecole di RNA messaggero corrispondente ai geni espressi rispetto al tessuto sano. Si estrae pertanto l'RNA dai due tipi di tessuti (sano e tumorale), si converte l'mRNA nella copia più stabile a DNA (cDNA) e vi si lega un marcatore fluorescente: ad esempio verde per il cDNA ottenuto da cellule tumorali e rosso per quello ottenuto da cellule sane. Si applicano poi i cDNA marcati al chip. Quando il cDNA trova la sua sequenza di basi complementare tra le decine di migliaia di sonde depositiate sul chip, vi si appaia. In quel punto del microarray si ha emissione di fluorescenza, indice dell'espressione di quel determinato gene. I chip vengono quindi analizzati con uno scanner, strumento che valuta il quadro di fluorescenza e i risultati sono elaborati da un computer. Si ottiene come risposta una mappa a colori: segnale rosso se un gene è espresso solo nel tessuto sano, verde se un gene è espresso solo nel tessuto tumorale e diverse gradazioni di giallo (rosso + verde) se un gene è espresso in entrambi i tessuti a livelli diversi. In altre parole si ottiene quello che viene definito un profilo di espressione, che consente di confrontare i quadri di espressione genica in tessuti diversi o nello stesso tessuto in differenti condizioni oppure in cellule a stadi diversi di sviluppo. La tecnologia che è alla base dei chip in realtà è molto complessa e l'utilizzo nella ricerca biomedica di questi utili "cacciatori di geni" è solo agli inizi.Si sono già avute numerose applicazioni di queste tecnologie dei microarray, ma i due gruppi principali di applicazione sono le analisi su larga scala dell'espressione genica (a livello di RNA) e quelle sulle variazioni del DNA.- Analisi dell'espressione. L'interesse principale della maggior parte degli attuali studi che utilizzano i microarray consiste nel controllo dei livelli di espressione dell'RNA che può essere fatto utilizzando o microarray di cloni di c-DNA o microarray di oligonucleotidi gene specifici. Nel caso di alcuni organismi le cui sequenze sono state completamente definite, come quelle del lievito Saccharomyces cerevisiae, è stato possibile effettuare l'analisi dell'espressione dell'intero genoma, e al momento si sta sviluppando la tecnologia che in un prossimo futuro permetterà di analizzare l'espressione dell'intero genoma umano.- Analisi della variazione del DNA. Per questo scopo sono necessari microarray di oligonucleotidi e ne sono state escogitate diverse applicazioni. Il risequenziamento del genoma mitocondriale umano utilizzando microarray di DNA è stato un test riuscito, che ha permesso di valutare la potenza di questa tecnologia nello stabilire variazioni di sequenza su larga scala tra individui. Ci sono poi enormi potenzialità per saggiare mutazioni in geni-malattia noti, come nell' esempio del gene per la suscettibilità del cancro alla mammella BRCA1. Inoltre sono stati fatti numerosi sforzi per catalogare i marcatori dei polimorfismi di un solo nucleotide (SNP- Single Nucleotide Polymorphism)Questa tecnologia è in rapida evoluzione e attualmente se ne stanno derivando molteplici applicazioni, tra cui lo sviluppo di microarray di proteine e di anticorpi e di microarray di cellule.

 

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