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Un legame antico: il rapporto uomo-cane

a cura di Dr.sa Gessica Degl'Innocenti

Storia dell’uomo che addomesticò il cane

La storia d’amicizia tra cane e uomo si perde nella notte dei tempi, ma le innumerevoli conseguenze di questa “unione” sono, oggi più che mai, sotto i nostri occhi.

Il cane, come il gatto, è entrato a far parte della vita moderna, condivide con noi luoghi e talvolta emozioni e ne viene riconosciuto, dalla comunità scientifica,un suo valore, se non terapeutico, quanto meno d’aiuto.

Ma come fu, migliaia di anni fa, che l’uomo preistorico decise di “addomesticare” [1] quello che doveva essere l’antenato del nostro "canis familiaris"?

Come mai questo animale fu da sempre trattato con occhio diverso, rispetto alle altre razze che, nel tempo, vennero assoggettate alla mano dell’uomo?

Come fu che poi,riuscì a guadagnarsi un posto speciale nella società umana, fino a divenire un “animale d’affezione”? [2]


[1] Da notare l’uso del verbo“addomesticare”. Di derivazione latina, il verbo nasce da “domesticus” che significa “appartenente alla casa”. La parola stessa ci suggerisce, quindi, che “addomesticare un animale”, vuol dire qualcosa di più che “renderlo sottomesso ai nostri bisogni”, o “assoggettarlo alle nostre volontà”, bensì indica la possibilità di farlo entrare nella casa e quindi nei luoghi prettamente umani. E’ da notare che usualmente, questo verbo viene, infatti, usato solo per razze quali cane e gatto, quelle con il quale l’uomo, negli anni, ha istaurato un rapporto tipicamente affettivo e non solo utilitaristico.

[2] Per “animali d’affezione” si intende “quella categoria di animali che vengono trattati dall’uomo con affetto e tenerezza e sono tenuti più per piacere che per utilità; con questi si gioca e di esso ci si prende affettuosamente cura”


WEBSTER J.(1999), Il benessere animale,Bologna, Edagricole.

I primi tentativi d’addomesticamento del cane sembra risalgano probabilmente ad almeno 12000 anni fa, alla fine del Pleistocene. Le prime tracce pittoriche, rinvenute in una caverna in Iraq, raffiguranti un cane, sembrano confermare la datazione: nel Neozoico, è quindi lecito pensare che, l’antenato dell’uomo e quello del cane, condividessero territori e, probabilmente, cibo e spazi.

Molte erano le similitudini che accomunavano i due mammiferi:

le loro strutture sociali erano simili, gli uomini si radunavano in tribù o gruppi, i cani in branchi; così come comuni erano alcune loro modalità di comunicazione, quali le espressioni mimiche e gli atteggiamenti di posizione del corpo; sovente entrambi attaccavano prede più grandi loro, impresa questa, che richiedeva uno sforzo di squadra e la divisione dei compiti tra i membri del gruppo.

Quando, nel tardo Paleolitico e all’inizio del Mesolitico, i ghiacci cominciarono a ritirarsi, cani e uomini seguirono la dispersione delle mandrie di grossi animali; attirati dalle carogne cacciate, i cani possono essersi avvicinati agli agglomerati degli uomini, i quali li uccisero per cibarsene; i cuccioli, ormai orfani, possono essere stati presi ed addomesticati, per farne, magari, compagni di caccia.

Dalla sua probabile origine, nel sud-est asiatico, l’addomesticamento del cane si diffuse, ciò spiegherebbe la comparsa, del tutto improvvisa, di cani in Europa ed in Africa, arrivati con le migrazioni umane ed impiantati sul territorio al seguito dei “padroni”.

Introdotto in nuovi territori, il cane si è accoppiato con gli esemplari selvatici autoctoni dando così vita ai diversi ceppi che, negli anni, hanno prodotto le razze più antiche, quali i levrieri, i cani da pastore, i bracchi ed i molossi.[3]


[3] Numerosi studi cinofili, che tengono conto della morfologia delle razze odierne, ipotizzano che, il primo cane con cui l’uomo si è trovato a relazionarsi, non era, come è credenza comune, un lupoide, bensì un molossoide. I resti fossili delle ossa cranio mandibolari degli esemplari ritrovati, dimostrano chiaramente che ci si trovava di fronte ad un cane con muso corto, tozzo con mascella forte e quadrata, segni, questi, distintivi del cane molosso e non certo del lupo selvatico. Il tutto trova riscontro nelle rappresentazioni iconografiche che presentano cani di grande mole, con collo e torace possente e corporatura robusta. Da questi, grazie agli incroci fortuiti e forzati, sono derivate le numerose razze odierne. Da sottolineare che, un sicuro discendente di quegli esemplari tanto antichi e che ancora oggi porta gli inconfondibili tratti di quel cane che fu, è il nostro Mastino Napoletano, che fa parte delle razze autoctone italiane riconosciute.


Con il passare dei secoli e la nascita delle grandi civiltà, il ruolo sociale del cane appare sempre più delineato e rilevante.

Le raffigurazioni dell’animale sono numerose e disseminate in molti territori: bassorilievi Assiro-Babilonesi, ritraggono scene di caccia con uomini e mute di cani; soggiogata la Mesopotamia, Ciro Re di Persia, portò al seguito del suo esercito i quattro zampe trovati nei territori conquistati, tanto era grande la loro possenza.

Le tracce del canis familiaris si trovano nella cultura ateniese e, più avanti, in quella romana dove ne appaiono cenni nelle opere di Columella, di Varrone e nel terzo libro delle “Georgiche” di Virglio.

In questi testi, si fa riferimento all’uso e alla diffusione del cane nell’antica Urbe e nelle sue regione; se ne ricava così un quadro assai interessante: il cane, non solo era usato per la guerra o per i giochi con i gladiatori, ma ne è auspicato l’asilo nella propria casa, affinché possa svolgere il suo ruolo di guardiano vigile e fedele.

Nei manoscritti Medioevali, compare la dicitura “cane da pastore” e “cane da guardia”, segno che l’uomo ha imparato sempre meglio a conoscere e sfruttare le attitudini comportamentali di questo animale.

Dal XV secolo in avanti , le espressioni pittoriche mostrano chiaramente come il canis familiaris sia ormai una presenza costante nella vita umana: non c’è infatti tela che rappresenti banchetto reale o battuta di caccia in cui uomo e cane non siano insieme. Infatti in questo secolo, l’arte pittorica, si arricchisce sempre di più; la prevalenza di soggetti sacri decade ed i pittori cominciano a volgere il loro sguardo verso le scene di vita quotidiana. Il quadro diventa espressione e testimonianza di una società: l’artista rappresenta e, di conseguenza, tramanda ai posteri un pezzo di storia, aiuta ad interpretare i vizi e le virtù di un tempo.

In questo contesto va approfondito il filone dell’arte animalier, ossia quella moda tanto in voga degli artisti che, a partire dal seicento, ritraggono cani e scene di vita quotidiana dove, con i loro padroni, sono protagonisti in discussi. Ovviamente nel seicento, l’unica classe in grado di commissionare opere, era ancora la nobiltà e sono quindi i Reali del secolo che si fanno ritrarre con i loro amati cani.

In Inghilterra, Carlo I Stuart, commissionò ad Antoine van Dick (1599-1641) numerosi ritratti familiari.

Nel settecento, la pittura animalier si arricchisce di soggetti: non solo i nobili vogliono essere ritratti con i propri beniamini a quattro zampe, ma li vogliono anche come unici soggetti, per mostrarne la bellezza, la prestanza fisica e la bravura nella caccia, sport molto praticato dall’elitè nobiliare.

Tra settecento e ottocento, la borghesia in piena ascesa, rivendica il suo ruolo sociale. Gli artisti, ormai meno legati al mecenatismo nobiliare, cominciano a descrivere la vita giornaliera; i quadri diventano così specchi che catturano stralci di vita vissuta. Parte essenziale di questa società sono ancora i cani, che non vengono più rappresentati in scene di caccia o in posa con i loro padroni, ma sono ritratti all’interno della famiglia, nella casa di cui fanno parte.

L’inserimento del cane come soggetto nei dipinti, è sintomatico di un atteggiamento psicologico e sociale della classe nobiliare prima e borghese poi, che fa di questo animale una parte essenziale della vita sociale e privata.

Dal Rinascimento in avanti qualcosa quindi cambia nelle dinamiche relazionali tra due e quattro zampe: il cane non è più un membro importante per l’economia della società umana, non si caccia più, se non per sport, l’arte della guerra si è affinata ed i morsi dell’antico mastino sembrano non essere più indispensabili per la vittoria.

Perché quindi l’uomo continua a circondarsi da questa specie?

Perché ancora lo accoglie sotto la sua tavola?

Perché si fa ritrarre dai pittori con il suo cane preferito?

Perché proprio in questo tempo cominciano a nascere gli allevamenti?

Probabilmente la risposta va cercata nell’animo umano, capace di rispondere, come ogni altra specie animale, a quel istinto atavico che si chiama “attaccamento”.

 

Per gentile concessione della Dottoressa Gessica Degl'Innocenti - www.psicologiacanina.it

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