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Diario dell'Abate Evariste Régis Huc

tibetano

tratto dal
Diario di un viaggio attraverso la terra dei Tartari, il Tibet e la Cina negli anni 1844/1845/1846 
dell'abate Evariste Régis Huc (missionario della congregazione di San Lazzaro)

 

Terrore di una belva feroce.
Ci eravamo appena coricati, quando un rumore inatteso e straordinario giunse improvviso a gettarci nello sconforto.
Era un grido lugubre, sordo e prolungato, che pareva avvicinarsi alla nostra tenda.
Avevamo udito gli ululati dei lupi, i ruggiti delle tigri e degli orsi, ma quello che ci risuonava nelle orecchie in quel momento non era paragonabile a nulla di conosciuto.
Era come il muggire di un toro, mescolato con qualcosa di così strano ed inusitato, da riempirci il cuore di spavento.
Ancor più ci sorprendeva per il fatto che tutti concordavano nell'affermare che non esisteva una sola belva feroce in tutto il paese.
All'avvicinarsi di questi versi agghiaccianti, accendemmo accanto alla tenda un fuoco di sterpaglie.
Questo falò, invece di allontanare l'animale, sembrava al contrario attirarlo verso di noi.
Il riflesso di una fiammata, distinguemmo finalmente la sagoma di un quadrupede rossiccio.
I nostri animali sembravano almeno preoccupati quanto noi. Il cavallo ed il mulo avevano drizzato le orecchie e puntavano le zampe, mentre i cammelli, con il collo teso e gli occhi sbarrati, non perdevano di vista il punto da cui provenivano quelle grida selvagge.
Un cane zoppo si unisce alla carovana.
Per cercare di capire con cosa avevamo a che fare, mettemmo un pugno di farina bagnata in uno dei nostri piatti di legno davanti alla tenda, e ci ritirammo.
Presto vedemmo l'animale avanzare a lenti passi, arrestarsi e poi avanzare ancora.
Finalmente si avvicinò al piatto e leccò rapidamente la zuppa.
Ci fu allora facile riconoscere un cane. Era di una grandezza stupefacente.
Dopo aver ben ripulito la ciotola, si accucciò semplicemente all'ingresso della tenda, e noi facemmo altrettanto, e ci addormentammo serenamente, lieti di aver trovato un guardiano, anziché un nemico.
Al mattino, risvegliandoci, potemmo constatare con piacere che questo cane, dopo averci causato tanto spavento, si era affidato a noi completamente. Era di colore rosso, e di una taglia straordinariamente grande; lo stato di deperimento in cui si trovava era la prova che fosse disperso da molto tempo.
Nonostante una gamba rotta, che si trascinava dietro camminando, il suo portamento aveva un qualcosa di formidabile.
Ma soprattutto era terrificante il timbro della sua voce, cavernoso e selvaggio.
Non lo potevamo udire senza domandarci se l'essere che avevamo sotto gli occhi appartenesse realmente alla specie canina.
Ci rimettemmo in marcia, ed il novello Arsalan ci seguì fedelmente. Sovente precedeva di qualche passo la carovana, come ad indicarci la rotta, che del resto sembrava essergli famigliare.

Sito consigliato: www.imolossideltibet.com

 

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