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Infestazioni da acari nel cane e nel gatto

-LE MALATTIE DERMATOLOGICHE CAUSATE DA ACARI NEL CANE E NEL GATTO-

a cura di Francesco Albanese
libero professionista
vetfra1@yahoo.it

INTRODUZIONE

Le malattie dermatologiche sostenute da acari sono tra i più frequenti motivi di consultazione del Medico Veterinario da parte dei proprietari di cani e gatti.
La variabilità della sintomatologia e delle lesioni dermatologiche presenti in tali malattie rendono spesso poco agevole la diagnosi; se a ciò si aggiunge la notevole somiglianza dei quadri clinici con quelli presenti in altri gruppi di malattie dermatologiche quali le allergie (dermatite atopica, allergia alimentare, allergia alla saliva della pulce), le altre ectoparassitosi (pediculosi, infestazione da pulci) o le malattie infettive (piodermite, dermatofitosi, leishmaniosi ecc.), si capisce come, per poter giungere ad una diagnosi definitiva, sia necessario un accurato iter diagnostico. 
Dobbiamo ricordare che tali malattie possono saltuariamente infestare anche i proprietari degli animali parassitati e che, sebbene tali infestazioni siano transitorie per la non specificità dei parassiti nei confronti dell'uomo, le malattie sostenute da acari rappresentano comunque un potenziale rischio zoonotico da non sottovalutare.
Prima di passare in rassegna i singoli acari dei quali verranno riassunte le principali caratteristiche morfologiche, il ciclo biologico e le principali lesioni cutanee, diamo una breve classificazione dei parassiti in base al loro tipo di parassitismo.
Gli acari sono infatti classificati in:
a) Permanenti: il cui ciclo si realizza completamente sull'ospite. Questi acari sono sicuramente quelli più frequentemente riscontrati sulla cute dei cani e gatti e tra questi ricordiamo Sarcoptes scabiei var. canis, Notoedres cati, Cheyletiella spp., Otodectes cynotis e Demodex spp.
b) Temporanei: questi acari possono parassitare l'ospite solo in un particolare stadio evolutivo del loro ciclo biologico, come accade per le forme larvali di Trombicula autumnalis.
c) Intermittenti: caratterizzati da più fasi di parassitismo di breve durata. E' il caso di Dermanyssus gallinae, acaro dei volatili che infesta gli animali solo per brevi periodi della giornata.



SARCOPTES SCABIEI var. CANIS

E' l'agente eziologico della rogna sarcoptica o scabbia canina, malattia cutanea non stagionale, molto contagiosa e pruriginosa.
L'acaro può infestare anche le volpi e più raramente conigli, gatti, altri piccoli mammiferi e l'uomo

Cenni morfologici e ciclo biologico

Sarcoptes è un acaro di piccole dimensioni (200-400 mm) con corpo tondo-ovale e di colore biancastro. Gli arti anteriori sono corti e terminano con due pre-tarsi non articolati e recanti una struttura a forma di ventosa, il pulvillo, che l'acaro utilizza per aggrapparsi ai cheratinociti e muoversi negli strati superficiali dell'epidermide.
Gli arti posteriori sono invece rudimentali, non si estendono oltre il corpo del parassita ed hanno lunghe setole prive di ventose; nel maschio anche il quarto paio di arti presenta le ventose.
La superficie dorsale è coperta da caratteristiche striature trasversali con un'area centrale occupata da scaglie di forma triangolare appuntite e setole spinose.
Un'altra caratteristica morfologica, importante carattere distintivo tra Sarcoptes e Notoedres, è la presenza dell'apertura anale che nel primo è nella parte posteriore del corpo dell'acaro mentre nel secondo è in posizione dorsale.

Il parassita compie l'intero ciclo vitale sull'ospite impiegando, da uovo a forma adulta, circa 17-21 giorni. Le femmine di Sarcoptes, dopo essere state fecondate in superficie, tendono a scavare dei tunnel nello strato corneo dell'epidermide (2-3 mm/die) ove depositano 2-3 uova al giorno in periodo che oscilla tra i 7 ed i 28 giorni.
Tre giorni dopo la deposizione delle uova si osserva la loro schiusa con fuoriuscita di una larva che nel giro di pochi giorni completa la sua maturazione in acaro adulto.
Sarcoptes è istofago, si nutre di siero e detriti epidermici ed è in grado di resistere al di fuori dell'ospite, cioè nell'ambiente, in condizioni di temperatura (10°-15° C) ed umidità relativa (25%-85%) ottimali per circa 9 giorni risultando ancora in grado di reinfestare un nuovo ospite per ancora 3-4 giorni.

Epidemiologia e sintomi clinici

Possono essere infestati cani di tutte le età e non sono state rilevate predilezioni di razza e sesso.
I cuccioli, i cani randagi e quelli che hanno soggiornato in pensioni o canili sono maggiormente a rischio a causa dell'elevata contagiosità della malattia che è trasmessa per lo più per contatto diretto.
Dopo circa 1-3 settimane di incubazione iniziano i sintomi clinici caratterizzati da forte prurito che aumenta d'intensità fino a diventare molto spesso "incoercibile".
A tutt'oggi non è ancora chiaro l'esatto meccanismo che causa il prurito anche se si è concordi nel ritenere che la sintomatologia pruriginosa sia legata a non ben specificati fenomeni d'ipersensibilità (Tipo I, II, IV).
Si è visto inoltre che Sarcoptes è in grado di danneggiare i cheratinociti che a loro volta rilasciano citochine (IL-1) determinando infiammazione cutanea e quindi lo stimolo pruriginoso.
L'acaro sembra prediligere le aree del corpo scarsamente ricoperte da peli come la punta ed i bordi del padiglione auricolare, gli arti (gomiti e garretti) e la parte ventrale di addome e torace; nelle forme croniche la malattia può generalizzare ed interessare tutto il corpo. 
La lesione primaria, segno diretto dell'azione dell'acaro sulla cute, è una papula sormontata da una piccola crosta giallastra; ben presto però, a causa del forte prurito, è possibile osservare lesioni secondarie all'autotraumatismo (escoriazioni, ulcere, alopecia e croste) o ad infezioni da parte di microrganismi opportunisti come i batteri ed i lieviti (Malassezia pachidermatis) che modificano completamente il quadro clinico iniziale.
Alcuni soggetti presentano pochissime lesioni ed hanno un quadro clinico caratterizzato da eritema e lievi escoriazioni (scabbia cosiddetta "incognita"), lesioni molto simili a quelle che si osservano in corso di altre malattie pruriginose come la dermatite atopica e l'allergia/intolleranza alimentare che devono essere sempre incluse nella diagnosi differenziale.
In virtù della somiglianza clinica con la dermatite atopica, è fondamentale escludere con certezza la scabbia dal momento che Sarcoptes può dare, in circa il 75% dei casi, reattività crociata con gli acari della polvere sia con i test in vivo (intradermoreazioni) sia in vitro (test sierologici); potremmo pertanto erroneamente diagnosticare una ipersensibilità agli acari in un cane che invece è affetto da rogna sarcoptica. 
In medicina umana è ben documentata una particolare variante crostosa e non pruriginosa, la cosiddetta "scabbia norvegese", così chiamata perché diagnosticata per la prima volta in un consultorio dermatologico di medicina umana in Norvegia; tale variante clinica è caratterizzata dalla presenza di gravi e diffuse lesioni seborroiche localizzate prevalentemente su mani e piedi ma che può generalizzare su tutto il corpo.
La peculiarità di tale forma clinica è nel rinvenimento, ai raschiati cutanei, di un notevole numero di acari che si moltiplicano indisturbati dal momento che le persone affette da rogna norvegese hanno malattie sottostanti debilitanti e immunosoppressive quali AIDS o Sindrome di Down.
Anche nel cane è possibile rinvenire forme cliniche analoghe, soprattutto in cuccioli debilitati o affetti da malattie virali, in animali che hanno subito trattamenti con dosi elevate di corticosteroidi o con altri farmaci immunosoppressori; come per l'uomo, anche in questi cani i raschiati cutanei evidenziano numerosissimi acari adulti nonché forme immature ed uova.

Diagnosi

La diagnosi di rogna sarcoptica si effettua visualizzando al microscopio il parassita o le sue uova ma è anche possibile, con un po' d'esperienza, emettere diagnosi solo visualizzando le deiezioni dell'acaro che sono riconoscibili per la loro tipica forma tonda-ovale ed il caratteristico colore giallastro-marrone.
La visualizzazione di Sarcoptes non è sempre semplice perché questi acari sono solitamente presenti in scarso numero ed inoltre, nei casi cronici, le gravi alterazioni secondarie all'autotraumatismo o le modificazioni cutanee legate alle infezioni da batteri e lieviti, rendono meno agevole la loro visualizzazione. Il rinvenimento dei parassiti è ancora più difficile in quei soggetti che sono stati lavati frequentemente e nei quali si è verificata la rimozione meccanica degli strati superficiali dell'epidermide, habitat naturale di questo tipo di acaro.
I raschiati cutanei volti alla ricerca di Sarcoptes scabiei devono essere superficiali in quanto gli acari vivono tra gli starti superficiali dell'epidermide.

Per ottimizzare la ricerca dei parassiti è consigliabile seguire alcune direttive:

-tosare il mantello (non effettuare mai un raschiato sui peli)
-ricercare le lesioni papulo-crostose (lesione tipica della scabbia)
-evitare di raschiare le aree traumatizzate in cui sono stati rimossi gli strati epidermici superficiali
-applicare dell'olio di vaselina sulla cute in modo da non perdere il materiale raccolto
-eseguire i raschiati in superficie senza portare a sanguinamento la cute (l'acaro vive in superficie)
-allestire sempre più vetrini e coprirli con un vetrino coprioggetti prima di osservarli al microscopio
- chiudere il diaframma per aumentare il contrasto dei parassiti (regola valida per tutti i parassiti)

L'esecuzione di un buon raschiato e l'allestimento corretto dei vetrini aumentano notevolmente la possibilità di rinvenire i parassiti.
Nelle forme crostose, alcuni autori consigliano di lasciare per 10' le scaglie e le croste a contatto con una soluzione cheratolitica a base di KOH al 10% con lo scopo di sciogliere l'eccesso di materiale cheratinico e di rendere più facile la visualizzazione degli acari. 
In Scandinavia è stato messo a punto un test sierologico per la ricerca degli anticorpi anti-Sarcoptes con una sensibilità e specificità elevata. Tale test ha lo svantaggio di non diagnosticare la malattia nelle forme iniziali poiché la sieroconversione si verifica solo dopo 5 settimane dal contagio.
La rogna sarcoptica è una zoonosi ed in circa il 30% dei casi si possono osservare lesioni sulla cute dei proprietari dei cani ammalati; dette lesioni sono molto pruriginose e sono caratterizzate da lesioni papulari su arti, addome e pube.
Le lesioni sull'uomo sono però autolimitanti e tendono a regredire nell'arco di un paio di settimane dal momento che Sarcoptes scabiei var. canis non è in grado di scavare tunnel nella cute dell'uomo o lo fa solo transitoriamente.



NOTOEDRES CATI

E' l'agente eziologico della rogna notoedrica del gatto o scabbia felina, malattia contagiosa e pruriginosa che può raramente infestare anche cani, volpi e conigli.

Cenni morfologici e ciclo biologico 

Il ciclo vitale è identico a quello di Sarcoptes cui si rimanda.
Da un punto di vista morfologico ci sono però alcune differenze che vanno rimarcate: Notoedres è più piccolo (200-250 mm), presenta strie sulla superficie dorsale che disegnano cerchi concentrici e che ricordano le impronte digitali, ha scaglie dorsali non appuntite e soprattutto ha l'apertura anale localizzata sulla superficie dorsale del corpo.

Epidemiologia e sintomi clinici

E' una malattia frequente in alcune aree geografiche ed estremamente rara in altre. Interessa soprattutto gatti randagi che vivono in collettività ed è una parassitosi altamente contagiosa.
Le lesioni iniziano solitamente sul margine mediale del padiglione auricolare e sulla faccia, poi, con il cronicizzate della malattia, possono presentarsi su collo, zampe, regione perineale ecc. Le lesioni cliniche sono caratterizzate, nelle fasi iniziali, da papule-crostose ed escoriazioni da autotraumatismo (la rogna notoedrica è molto pruriginosa) e man mano che la malattia cronicizza si osservano sintomi molto più gravi sotto forma di lesioni proliferative seborroico-crostose che tendono a coprire tutte le orecchie, la testa e il collo (c.d. "casco notoedrico"). Le croste sono prominenti, di color giallo-grigiastro e albergano solitamente un enorme numero di acari adulti e forme immature. 

Diagnosi

Dobbiamo sempre considerare la rogna notoedrica quando visitiamo gatti con sintomatologia pruriginosa, soprattutto in quelli randagi o con un'anamnesi ambientale di possibile esposizione a fonti di contagio. Un raschiato cutaneo superficiale o l'osservazione del contenuto delle croste al microscopio, consentono una diagnosi facile dal momento che, a differenza di quanto accade per Sarcoptes, gli acari Notoedres sono sempre presenti in grande quantità sui preparati microscopici.
Nelle fasi iniziali della malattia le lesioni possono essere identiche a quelle osservate in corso di altre malattie parassitarie come la rogna auricolare o le malattie da ipersensibilità come l'allergia alla saliva della pulce, la dermatite atopica o le allergie alimentari. Un corretto iter diagnostico e l'esecuzione degli esami dermatologici di base consente di raggiungere la diagnosi.



CHEYLETIELLA spp.

Cheyletiella è un acaro che vive sulla superficie cutanea di cani, gatti, conigli, volpi ed altri piccoli mammiferi ed è la causa di una dermatite molto contagiosa e variabilmente pruriginosa.

Cenni morfologici e ciclo biologico 

L'acaro adulto è grande (300-500 mm), ha un corpo di forma esagonale ed ha quattro paia di arti che terminano con una struttura a forma di pettine. La caratteristica principale del parassita è però la presenza di un prominente apparato buccale che termina con due grossi uncini contrapposti che l'acaro utilizza per scavare e muoversi tra i cheratinociti. Esistono tre principali specie di Cheyletiella: la C. yasguri, la C. blakei e la C. parasitivorax che, pur non essendo specie-specifici, prediligono infestare rispettivamente il cane, il gatto ed il coniglio
Da un punto di vista tassonomico, ma che non ha interesse ai fini prognostico-terapeutici, è possibile differenziare i tre acari andando a ricercare il cosiddetto "solenidio" e cioè un organo sensoriale che Cheyletiella possiede sul III° segmento del I° paio di arti; tale solenidio ha forma di cuore in C. yasguri, di cono in C. blakei ed è di aspetto globoso in C. parasitivorax.

L'acaro compie l'intero ciclo sull'ospite vivendo tra gli strati di cheratina dell'epidermide, movendosi rapidamente in pseudotunnel tra le scaglie e nutrendosi di linfa e fluidi organici. Le uova sono piccole, ovali e labilmente ancorate ai peli da un fitta rete di sottili fibrille intrecciate, a differenza delle uova di pidocchio (lendini) che sono saldamente adese al fusto del pelo per i 2/3 della loro lunghezza.
L'intero ciclo dura circa 21 giorni, le femmine adulte sono in grado di resistere nell'ambiente esterno per oltre 10 giorni senza alimentarsi, mentre le forme immature muoiono in pochi giorni al di fuori dell'ospite. Questo comportamento biologico è spesso causa di reinfestazione.

Epidemiologia e sintomi clinici 

La malattia è molto contagiosa specie tra gli animali giovani e sono possibili contagi agli uomini (da piccole lesioni papulari su arti e addome fino a gravissime forme di dermatite papulare generalizzata). Il prurito può essere intenso ed interessare più soggetti dello stesso nucleo familiare. Come per le altre zoonosi da acari, l'eliminazione del parassita dagli animali e la gestione dell'ambiente sono sufficienti a far regredire le lesioni sull'uomo.
La trasmissione avviene per contagio sia diretto sia indiretto e si è visto che Cheyletiella può essere veicolata sugli animali da altri parassiti come pulci, pidocchi e mosche.
Alcuni animali, prevalentemente i soggetti adulti, sono assolutamente asintomatici e la parassitosi viene sospettata solo per la presenza di una dermatite desquamativa per lo più localizzata alla regione dorsale; altri animali hanno invece un prurito molto intenso non correlato al numero di parassiti presenti sulla cute, cui consegue lo sviluppo di lesioni da autotraumatismo. 
I gatti possono manifestare tutti i quadri clinici secondari al prurito e cioè l'alopecia simmetrica autoindotta, il prurito sul collo e sulla faccia, le lesioni appartenenti al gruppo delle malattie cosiddette eosinofiliche (placca, granuloma lineare ecc.), nonché la dermatite miliare (piccole papulo-croste difuse su tutto il corpo della grandezza di un seme di miglio) che suggeriscono l'esecuzione di un iter diagnostico differenziale nei confronti di numerose altre malattie parassitarie ed allergiche.

Diagnosi

La visualizzazione del parassita o delle sue uova è possibile con diverse tecniche: la principale è sicuramente l'esame microscopico delle scaglie raccolte con la tecnica del nastro adesivo trasparente, meglio nota come scotch test.
Si spazzola il mantello dell'animale con le mani o con un pettine a denti stretti facendo cadere il materiale sul tavolo da visita per poi raccoglierlo con lo scotch.
Se sono presenti pochi parassiti e si osservano lesioni papulari è possibile eseguire un raschiato cutaneo superficiale così come è stato indicato per la ricerca di Sarcoptes.
Un'altra possibilità è la visualizzazione delle uova mediante esame tricoscopico del pelo ed in alcuni gatti con prurito non è infrequente ritrovare i parassiti anche ad un esame coprologico per flottazione. La tecnica della flottazione può essere sfruttata anche per le scaglie.
Gli autori anglosassoni hanno coniato il termine "forfora che cammina" per descrivere l'aspetto desquamativo della malattia: ciò perchè molte di quelle che ad una prima osservazione macroscopica sembrano essere scaglie, sono in realtà parassiti (colore biancastro simile a quello delle scaglie) che, con un'attenta osservazione ad occhio nudo o meglio utilizzando una lente d'ingrandimento, è possibile veder muovere sul mantello. 
Quando le scaglie sono l'unica lesione presente, tra le diagnosi differenziali dobbiamo prendere in considerazione i difetti di cheratinizzazione primari (nei cani giovani), gli stati nutrizionali carenziali, la leishmaniosi, l'infestazione da pulci o da altri parassiti; se invece il prurito è presente dobbiamo escludere una scabbia e una dermatite allergica alla saliva della pulce. 
Nei gatti dobbiamo escludere la dermatofitosi e le altre malattie allergiche e parassitarie.



OTODECTES CYNOTIS

La rogna otodettica o auricolare è la malattie dermatologica sostenute da acari di più frequente riscontro nella pratica clinica del Medico Veterinario; essa è causata dall'acaro Otodectes cynotis che può infestare cani, gatti, conigli, furetti ed altri piccoli mammiferi.

Cenni morfologici e ciclo biologico

L'acaro misura circa 400 mm, ha un rostro conico e arti con pre-tarsi che terminano con una piccola struttura a forma di coppa che il parassita utilizza per muoversi tra cerume e scaglie.
Nelle femmine i primi due paia di arti (anteriori) hanno pre-tarsi muniti di ventose mentre i posteriori terminano con lunghe setole simili a fruste; il quarto paio è molto corto e non sporge dalla superficie corporea. Nei maschi tutti e quattro gli arti terminano con le ventose.
L'accoppiamento dei parassiti ha una peculiarità: l'acaro maschio si unisce in copula con forme non ancora mature, le deutoninfe; a questo punto abbiamo due possibilità e cioè se tale copula non sarà produttiva la deutoninfa maturerà in un acaro maschio mentre viceversa si svilupperà in un acaro femmina fecondato.
Otodectes cynotis completa il suo ciclo, che dura circa tre settimane, interamente sull'ospite e più precisamente nel canale auricolare esterno nutrendosi di detriti epidermici e fluidi tissutali; ne consegue un'irritazione dell'epitelio con produzione di una secrezione di un caratteristico cerume nerastro piuttosto secco che viene comunemente paragonato al fondo del caffè.

Epidemiologia e sintomi clinici

Possono essere infestati animali di tutte le età e, vista l'elevata contagiosità della malattia, soprattutto quelli giovani che vivono in collettività. I gatti randagi sono frequentemente infestati da Otodectes che è la principale causa di otite esterna in questa specie.
Come già accennato, la caratteristica clinica più frequente negli animali parassitati è la presenza di una notevole quantità di cerume scuro ("a fondo di caffè") che nei soggetti asintomatici può essere l'unico segno clinico riscontrabile. Dobbiamo però sottolineare che non tutte le otiti parassitarie sono caratterizzate da questo tipico aspetto del cerume, così come non sempre un cerume scuro e secco è patognomonico di otoacariasi, soprattutto nei cani.
L'azione traumatica dei parassiti, ma soprattutto i fenomeni d'ipersensibilità che si istaurano a seguito dell'esposizione degli antigeni degli acari, sono la causa della sintomatologia pruriginosa osservabile; l'intensità del prurito è variabile e, mentre alcuni soggetti sono assolutamente asintomatici, altri possono sviluppare prurito incoercibile, causa di gravi lesioni nella regione temporale, retroauricolare e sul collo. L'entità del prurito è soggettiva e non è assolutamente correlata al numero di acari presenti nel canale auricolare. 
In alcuni gatti, per la loro abitudine a dormire in posizione "a ciambella" o che vivono in collettività come accade nei gattili, è possibile che si osservi la localizzazione extra-auricolare dei parassiti; in questi casi si osservano lesioni papulo-crostose nelle aree peri-auricolari, sul padiglione e nella regione dorso-lombare.
Nei cani la malattia non è frequente come nei gatti e la si può osservare soprattutto nei cuccioli.

Diagnosi

Spesso è possibile visualizzare i parassiti già durante l'esame otoscopio sotto forma di piccoli puntini biancastri molto mobili. La tecnica più semplice ed efficace è però l'esame della secrezione auricolare che mette in mostra acari adulti, forme immature e uova. Sebbene i parassiti siano solitamente presenti in elevato numero, anche il reperimento di un solo uovo ci consente di effettuare la diagnosi. Bisogna fare attenzione ad escludere un otoacariasi in soggetti che sono stati trattati con prodotti topici auricolari, inadeguati nei tempi e nei modi di somministrazione, che hanno solo consentito un temporaneo miglioramento clinico ma insufficiente per ottenere la completa guarigione.
Nel gatto in presenza di solo cerume nerastro, le possibilità che si tratti di rogna auricolare sono elevatissime, mentre se sono presenti lesioni facciali da autotraumatismo, il quadro clinico mima perfettamente quello osservabile in altre malattie parassitarie (rogna notoedrica) e allergiche (dermatite atopica, allergia alimentare e allergia alla saliva della pulce).
Nel cane vanno invece considerate le altre frequenti cause di otite esterna bilaterale (otite batterica e da Malassezia) e come già accennato per Sarcoptes, anche in corso di otoacariasi è possibile osservare reattività crociata con gli acari della polvere, pertanto anche Otodectes può causare falsi positivi ai test intradermici. 



TROMBICULA AUTUMNALIS

La trombiculosi è una malattia parassitaria del cane e del gatto causata dalla forma larvale dell'acaro Neotrombicula autumnalis.
Poiché questi acari vivono in zone boschive, possono essere infestati numerosissimi altri animali selvatici.

Cenni morfologici e ciclo biologico

Il ciclo di tale parassita è diverso da quello degli acari fin ora trattati; esso infatti ha un ciclo temporaneo.
Sono solo le larve a parassitare gli animali per poi cadere nell'ambiente e maturare in acari adulti.
La larva (250-500 mm) presenta tre paia di arti, un apparato buccale con due cheliceri a forma di pinza, uno scutum dorsale pentagonale e circa 25-50 setole ciliate a forma di piuma che ricoprono tutto il corpo. La larva presenta inoltre un caratteristico colore arancio che la rende evidenziabile anche ad occhio nudo. 
Come già detto, solo la larva è un parassita dei mammiferi e dopo essersi nutrita di fluidi organici lascia l'ospite ed entra in una fase di quiescenza diventando acaro adulto attraverso tre stadi ninfali (protoninfa, deutoninfa e tritoninfa). Tale maturazione avviene in ambienti boschivi con vegetazione in decomposizione, dove gli adulti si nutrono di uova e larve di altri artropodi; le femmine depositano le uova nell'ambiente e queste, dopo circa una settimana, schiudono liberando la caratteristica larva arancione. Il ciclo si completa in circa 50-70 giorni e le femmine adulte sono in grado di vivere oltre un anno. 

Epidemiologia e sintomi clinici

La malattia è più frequente nel periodo che va dalla fine dell'estate all'autunno ed in soggetti che vivono o che hanno sostato in campi o dove è presente molta vegetazione.
Le larve prediligono le aree del corpo maggiormente a contatto con il terreno come la falsa tasca del padiglione auricolare (tasca di Henry), la testa (labbra e palpebre), le zampe (spazi interdigitali e letto ungueale) e la regione perianale.
La maggior parte degli animali sono asintomatici e la diagnosi viene effettuata casualmente, altri invece presentano dermatiti pruriginose a seguito dello sviluppo di fenomeni di ipersensibilità.

Diagnosi

Il caratteristico colore arancio intenso degli acari e la loro caratteristica ad aggregarsi sul corpo degli animali fa sì che spesso la diagnosi sia possibile già visualizzando i parassiti ad occhio nudo sotto forma di puntini arancioni. Nei casi invece in cui il prurito abbia determinato lesioni escoriative ed i parassiti non sono microscopicamente apprezzabili è possibile eseguire la loro ricerca mediante raschiato cutaneo superficiale o scotch test.



DERMANYSSUS GALLINAE

E' un acaro che infesta i volatili da voliera, da cortile e selvatici e che in alcune ore della giornata può parassitare i mammiferi che vivono a loro contatto. 

Cenni morfologici e ciclo biologico

L'acaro ha corpo ovale di 0,7-1 mm di lunghezza, rostro appuntito con cheliceri lunghi e filiformi. Gli arti sono lunghi e terminano con una ventosa e due formazioni simili ad unghie. Sul dorso è presente una placca di forma pentagonale e nella femmina una placca anale trapezoidale.
L'acaro è biancastro ma assume una marcata colorazione rossastra dopo aver effettuato il pasto di sangue tanto da venir appellato come "acaro rosso".
L'acaro vive in nidi e crepe di gabbie e appartamenti eliminando circa 7 uova dopo ogni pasto di sangue. Dalle uova emerge una ninfa che in circa 8 giorni matura fino ad acaro adulto che è molto resistente se si pensa che è in grado di resistere senza nutrirsi per circa 9 mesi.

Epidemiologia e sintomi clinici

L'infestazione dei cani è gatti è rara ed accidentale e può osservarsi in animali che vivono a stretto contatto con volatili, soprattutto i polli da cortile.
Gli animali infestati possono manifestare prurito variabile e lesioni soprattutto sulla regione dorsale ed alle estremità.

Diagnosi

La diagnosi si effettua mediante l'osservazione macroscopica dei parassiti che a volte mimano le lesioni da Cheyletiella ("forfora che cammina") e nei casi con pochi parassiti è possibile effettuare raschiati superficiali multipli per visualizzare l'acaro.



DEMODEX SPP.

INTRODUZIONE

A differenza degli acari trattati finora, Demodex spp non vive sulla superficie cutanea ma è un commensale della cute di tutti i cani che vive nei follicoli piliferi e nelle ghiandole sebacee.



DEMODEX CANIS

E' un acaro commensale della cute dei cani che può vivere senza manifestare sintomi per tutta la vita dell'animale ma che, in alcuni soggetti, è in grado di determinare sintomi di malattia vera e propria. 

Cenni morfologici e ciclo biologico

Demodex canis ha un corpo vermiforme di 150-250 mm di lunghezza con 4 paia di arti atrofizzati terminanti con una formazione simile ad un unghia. Gli arti sono raggruppati nella parte anteriore del corpo (podosoma), mentre la regione posteriore (opistosoma) è molto più lunga rappresentando i 2/3 del corpo dell'acaro. 
La femmina presenta l'apparato riproduttore ventralmente dopo il IV° paio di arti, mentre nel maschio l'organo copulatore è localizzato sulla parte dorsale del corpo all'altezza del II° paio di arti. Le forme immature sono rappresentate dalla larva (tre paia di arti abbozzati), dalla ninfa (quattro paia di arti non completamente sviluppati) e dalle uova che hanno una peculiare forma che ricorda quella di un "pistacchio". Il riconoscimento morfologico di queste forme immature è importante nella valutazione dell'efficacia delle terapie instaurate.

L'acaro compie tutto il suo ciclo sull'ospite. Viene trasmesso dalla madre ai cuccioli per contatto diretto durante le prime ore di vita divenendo in questo modo un commensale della cute di tutti i cani.
Solo i cani nati con parto cesareo e che non sono stati allattati dalla madre non presentano acari nella cute. Il motivo per il quale solo in alcuni soggetti si osserva una moltiplicazione eccessiva dei parassiti e quindi lo sviluppo della malattia, non è stato ancora del tutto chiarito dopo oltre trent'anni di studi..
Studi hanno dimostrato che nei cani che sviluppano la malattia non è presente una immunodeficienza aspecifica del sistema immunitario e ciò è intuibile perché, se così fosse, questi cani sarebbero predisposti a sviluppare anche altre malattie; sembrerebbe però che, su base ereditaria, si sviluppi una immunodeficienza dei linfociti T specifici nei confronti degli acari e che la loro eccessiva proliferazione, unitamente alla piodermite secondaria, sia poi la causa dello sviluppo di un'immunodeficienza umorale acquisita.
Sebbene dopo oltre 40 anni di studi non si sia chiarita l'esatta patogenesi della malattia, è certo che il sistema immunitario gioca comunque un ruolo decisivo nello sviluppo della malattia; ciò è confermato dal fatto che la demodicosi che insorge nei soggetti adulti-anziani è sempre secondaria ad una malattia sottostante che altera il sistema immunitario, come può accadere a seguito di alcune endocrinopatie (iperadrenocorticismo ed ipotiroidismo), di alcune neoplasie o malattie infettive o a seguito di trattamenti farmacologici con corticosteroidi o farmaci citotossici.

Epidemiologia e sintomi clinici

La malattia è più frequente nei cani giovani ma, come detto, è possibile che si sviluppi anche in soggetti anziani immunodepressi. Esistono due forme cliniche differenziabili in base all'estensione della malattia, la forma localizzata e quella generalizzata.
La prima è più frequente nei cani giovani e si manifesta con aree focali di alopecia (si ritiene fino a massimo cinque) solitamente non accompagnate da eritema ed infezione batterica secondaria.
Le lesioni si osservano principalmente su testa, muso ed estremità. Si ipotizza che la maggior frequenza di lesioni in queste aree corporee possa essere giustificata dal fatto che il muso e gli arti sono le parti del corpo che i cuccioli hanno a maggior contatto con la cagna durante l'allattamento.
Nella forma generalizzata si verificano invece lesioni completamente diverse da quelle osservate nella forma localizzata della quale potrebbero esserne l'evoluzione.
Si sviluppano infatti comedoni, pustole e quadri di piodermite profonda di imponente gravità che possono interessare tutta la superficie corporea e a cui si associano sintomi sistemici quali abbattimento, ipertermia febbrile e riluttanza a muoversi quando si sviluppano lesioni podali.
La localizzazione esclusivamente podale con interessamento di due o tutte e quattro le zampe, viene ritenuta una forma generalizzata, sebbene le lesioni podali si osservino, più comunemente, in associazione a lesioni in altre aree del corpo.

Diagnosi

La diagnosi di demodicosi si esegue in vari modi. La tecnica d'elezione è sicuramente il raschiato cutaneo profondo che si differenzia da quello superficiale volto alla ricerca degli acari che vivono sullo strato corneo ( per es. Sarcoptes, Notoedres ecc.), per la profondità da raggiungere. In effetti poiché Demodex vive nei follicoli e nelle ghiandole sebacee, dobbiamo rimuovere meccanicamente tutta l'epidermide per poter raggiungere queste strutture anatomiche.
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La diagnosi è solitamente facile soprattutto nelle forme generalizzate in cui si rinvengono numerosissimi parassiti. Un'altra possibilità diagnostica è quella della visualizzazione microscopica dei peli; in effetti la rimozione dei peli dal loro alloggio e cioè dal follicolo, eseguita mediante trazione con le dita o con una pinza da emostasi, consente di visualizzare gli acari che vengono rimossi insieme al pelo. Dobbiamo ricordare che tale metodica può dare falsi negativi e che il raschiato cutaneo profondo resta sempre la tecnica d'elezione.
In casi eccezionali, come ad esempio in cani di razza shar pei (notevole spessore dermico per accumulo fisiologico di mucina) o nelle pododermatiti croniche con imponente fibrosi, anche numerosi raschiati profondi potrebbero non evidenziare la presenza dei parassiti e pertanto si deve ricorrere all'esecuzione di biopsie cutanee multiple.



DEMODEX CATI

La demodicosi nel gatto è molto più rara che nel cane. L'acaro, Demodex cati, ha caratteristiche morfologiche molto simili a quelle di D..canis da cui si differenzia per la presenza di un opistosoma (parte posteriore) molto più lungo.
Il ciclo biologico è lo stesso descritto per Demodex canis.
Nella specie felina sono state descritte altre due tipi di Demodex, il D. gatoi ed un'altra forma cui non è stato dato nome; questi acari sono più piccoli con corpo tozzo ed opistosoma ridotto e, da un punto di vista del ciclo biologico, sembra non vivano nei follicoli ma nello strato corneo.
Le lesioni cliniche sono meno importanti rispetto a quelle del cane e si presentano con aree alopeciche focali e multifocali, dermatite desquamativa (seborrea spesso di aspetto oleoso) e sono possibili altre lesioni secondarie se subentrano a seguito del prurito e delle complicazioni batteriche.
Nei gatti, rispetto ai cani, è più frequente una localizzazione auricolare che si manifesta con un'otite ceruminosa e scarsamente pruriginosa.
In presenza di una demodicosi in un gatto dobbiamo cercare sempre una malattia sottostante che altera il sistema immunitario(trattamenti corticosteroidei, Toxoplasmosi, diabete mellito, neoplasie) e tutti i gatti vanno testati per la ricerca di anticorpi anti FIV e FelV (spesso causa di demodicosi felina).
La diagnosi si esegue con le stesse tecniche diagnostiche descritte per il cane.

TERAPIA DEGLI ACARI DEMODETTICI 

La terapia delle ectoparassitosi causate da acari non demodettici si basa in genere sull'uso di permetrine, avermectine o milbemicine. Più raramente si usano amitraz o fipronil.

Permetrine o piretroidi

Le permetrine ed i loro derivati sintetici, i piretroidi, sono molecole che per molti anni sono state utilizzate nel trattamento dei parassiti esterni, soprattutto nella terapia delle infestazioni da pulci.
Le formulazioni contenenti tali sostanze sono soprattutto gli spray, soluzioni e prodotti spot-on.
Oggigiorno l'avvento di molecole più moderne ne ha limitato molto l'uso; una malattia in cui trovano ancora utilizzo è l'otoacariasi da Otodectes cynotis mediante l'applicazione di gocce ogni quattro giorni circa.

Amitraz

L'Amitraz è un farmaco che si utilizza per la terapia della rogna demodettica e che raramente viene utilizzato per il trattamento degli altri acari. Si utilizza sotto forma di spugnature ad intervallo settimanale per tre volte alla concentrazione dello 0,1%. Con la commercializzazione di prodotti molto efficaci, più facilmente applicabili e con intervalli di somministrazione mensili, il suo utilizzo nel trattamento delle malattie dermatologiche sostenute da acari non demodettici è andato perduto.
Un ulteriore svantaggio è legato alla presenza del mantello che non facilita il contatto del farmaco con la pelle.

Fipronil

Vi sono descrizioni sull'uso improprio del fipronil per la terapia della rogna sarcoptica alla dose di 3 ml/kg per tre volte, ogni 15 giorni o 6 ml/kg, tre volte, ogni 7 giorni. Con questa posologia può essere una alternativa terapeutica nei cuccioli inferiori ai 4 mesi di età. 
Per la cheiletiellosi il fipronil è stato utilizzato con successo con una sola somministrazione associata a decontaminazione ambientale, mentre per l'infestazione da Neotrombicula autumnalis si utilizza ogni 14 giorni per due o tre volte. Per l'otocariasi da Otodectes cynotis è stato utilizzata con successo la formulazione in gocce nelle orecchie somministrata una volta sola. Infine, il fipronil è efficace anche contro i pidocchi.
La formulazione efficace è quella spray e questo potrebbe essere un inconveniente nei soggetti a mantello lungo e nei gatti.

Avermectine e milbemicine

Struttura e origine
Le avermectine e le milbemicine sono lattoni macrociclici con attività biologiche simili prodotti dalla fermentazine di attinomiceti saprofiti del genere Streptomyces (S. avermitilis per le avermectine e S. hygroscopicus e S. cyaneogriseus per le mibemicine). Le avermectine sono delle milbemicine glicosilate. Queste molecole sono state scoperte all'inizio degli anni settanta e possiedono proprietà acaricide, insetticide e nematodicide.
L'ivermectina, una avermectina idrogenata, è stata al prima ad essere messa sul mercato veterinario nel 1981. Due decadi dopo la commercializzazione dell'ivermectina, numerose altre avermectine e milbemicine sono state immesse sul mercato, quali ad esempio le avermectine abamectina (prodotto naturale), doramectina e selamectina, e le milbemicine milbemicina ossima e moxidectina.

Meccanismo d'azione

Le avermectine interagiscono stereoselettivamente ad alta affinità con canali cloruro regolati da glutammato, diversi dai canali cloruro sensibili all'acido gamma-aminobutirrico (GABA). I canali cloruro sulle giunzioni post-sinaptiche si aprono, con conseguente flusso di ioni cloruro caricati negativamente all'interno dei neuroni ed induzione di un potenziale di riposo. Le cellule post-sinaptiche non ricevono il segnale e ciò porta ad un blocco neuromuscolare che causa la paralisi e la morte nei nematodi e negli artropodi. L'ivermectina probabilmente è anche in grado di potenziare l'azione del GABA stimolando il rilascio pre-sinaptico di questa molecola e aumentandone il legame ai recettori post-sinaptici. Le milbemicine hanno lo stesso meccanismo di azione delle avermectine.

Spettro d'azione

Per i grossi animali le avermectine e le milbemicine sono commercializzate come antiparassitari ad ampio spettro o "endectocidi", ad una dose media di 0,2 mg/kg per la maggior parte di essi. Alcuni dei prodotti testati sono capaci di uccidere un parassita specifico ad una dose molto bassa (dell'ordine di grandezza di 2 mcg/kg), tuttavia nessuno di essi è capace di eliminare endo- e ectoparassiti a basse dosi, per cui si rende necessario un dosaggio minimo di 0,2 mg/kg per poter eliminare tutti i parassiti.
L'abamectina e la moxidectina hanno attività antielmintiche e acaricide superiori rispetto alla loro attività insetticida. La doramectina ha uno spettro d'azione simile all'abamectina e alla moxidectina, tuttavia pare che abbia una maggiore emivita tissutale grazie alla sua capacità di legarsi al tessuto adiposo. 

Utilizzo negli animali da compagnia

Cinque avermectine e milbemicine sono state registrate per l'uso nel cane e nel gatto, con indicazione di attività larvicida nei confronti delle larve di filaria cardiopolmonare . Sino all'immissione della selamectina sul mercato non vi era alcuna registrazione come endectocida; questa è stata registrata, come spot-on somministrato alla dose di 6 mg/kg una volta al mese, con effetto contro la filariosi cardiopolmonare, Toxocara canis, Toxocara cati, Ancylostoma tubaeforme, Sarcoptes scabiei, Otodectes cynotis (solo nel gatto), alcune zecche (Rhipicephalus sanguineus), i pidocchi del cane e del gatto e pulci (adulti e uova). Il produttore della selamectina dichiara che la selamectina possiede anche un effetto significativo negli animali affetti da allergia al morso delle pulci, anche se la molecola deve venire ingerita dal parassita con un pasto di sangue, con conseguente inoculazione di saliva nell'animale allergico. La selamectina è la prima molecola di questa famiglia a possedere una efficacia provata contro le pulci alle dosi terapeutiche. 
Lavori recenti hanno dimostrato l'efficacia della selamectina anche nei confronti di Cheyletiella spp., Neotrombicula autumnalis e Notoedres cati.

Uso improprio nelle affezioni dermatologiche degli animali da compagnia

L'uso improprio delle avermectine e delle milbemicine, con formulazioni per lo più registrate per i grossi animali, fornisce un ampio spettro impiego come parassiticida nei piccoli animali, nei confronti degli acari (Sarcoptes, Notoedres, Otodectes, Cheyletiella, Psoroptes, Demodex e Pneumonyssus caninum). Le formulazioni disponibili a questo scopo sul mercato italiano od estero sono la soluzione iniettabile all'1% di ivermectina, doramectina e moxidectina, le preparazioni orali per cavalli all'1% e all'1,87% di ivermectina e al 2% di moxidectina, la preparazione orale per piccoli ruminanti allo 0,8% di ivermectina e allo 0,1% di moxidectina, e la soluzione pour-on allo 0,5% di ivermectina e di moxidectina per ruminanti. 

L'ivermectina viene tradizionalmente impiegata nel trattamento della rogna sarcoptica, notoedrica e otodettica e nella cheiletiellosi alla dose di 0,3 mg/kg ogni 14 giorni per via sottocutanea o ogni 7 giorni se somministrata per os, per tre volte. La formulazione topica pour-on di invermectina per bovini allo 0,5% è stata impiegata con successo alla dose di 0,5 mg/kg due volte a distanza di due settimane nella rogna sarcoptica del cane. Lo stesso protocollo, ma eseguito quattro volte, è stato impiegato con successo nella rogna otodettica del gatto e nella cheiletiellosi. 
L'ivermectina non va utilizzata nei cani di razza collie, pastore delle Shetland, pastori australiani, Bobtail e border collie e nei loro incroci. Gli effetti collaterali ( in tutte le razze) più frequenti sono atassia, midriasi, anoressia e vomito. Al fine di controllare e evitare tali effetti collaterali alcuni autori suggeriscono di iniziare la somministrazione a dosaggi più bassi (0,1 mg/kg) e di aumentarla settimanalmente di 0,1 mg/kg sino a raggiungere la dose piena (0,6 mg/kg).
La validità di questo "dosaggio prova" sembra però di dubbia utilità dal momento che molti soggetti manifestano effetti collaterali dopo diverse settimane di trattamento.

Le milbemicine sono strettamente imparentate alle avermectine e ne condividono lo stesso meccanismo d'azione. La milbemicina ossima è stata impiegata con successo nella rogna sarcoptica alla dose di 1-2 mg/kg per os una volta alla settimana per tre settimane. Tuttavia uno studio recente suggerisce che la somministrazione per os a giorni alterni alla dose di 0,5-1 mg/kg per 10-14 giorni porta più rapidamente alla risoluzione del quadro clinico. Gli effetti collaterali della milbemicina ossima con questa posologia sono vomito e segni neurologici reversibili dopo la sospensione del farmaco. Questa molecola è stata impiegata con successo nelle infestazioni da Pneumonyssys caninum alla dose di 0,5-1 mg/kg. La milbemicina ossima è ben tollerata dalle razze sensibili alle dosi qui sopra menzionate..

La moxidectina iniettabile all'1% somministrata per os alla dose di 0,4 mg/kg per due volte, ogni 15 giorni, si è dimostrata efficace nella rogna sarcoptica. Un altro studio ne ha dimostrato l'efficacia nella stessa malattia alla dose di 0,2-0,25 mg/kg settimanalmente per 3-6 volte. La moxidectina è inoltre risultata efficace nella otoacariasi del cane alla dose di 0,2 mg/kg, data due volte, ogni 10 giorni. Gli effetti collaterali della moxidectina riportati da alcuni autori a questi dosaggi sono simili a quelli degli altri lattoni macrociclici (letargia, anoressia, atassia, vomito), tuttavia essi non sono frequenti. Si segnala invece la frequente insorgenza di angioedema e orticaria se il prodotto viene somministrato per via sottocutanea, per cui se ne raccomanda l'uso esclusivo per os nel cane. Non vi sono infine studi che provino la tossicità o la sicurezza di questa molecola alla dose di 0,2-0,4 mg/kg nei collie sensibili alla ivermectina.

C'è un'unica pubblicazione riguardo l'uso della doramectina alla dose di 143-345 mg/kg in unica somministrazione che riuscì a trattare con successo un gattile affetto da rogna notoedrica. 

La selamectina è l'ultima arrivata della famiglia delle avermectine ed è anche l'unica avermectina registrata come endectocida per l'uso nei piccoli animali ed il cui spettro d'azione, se somministrata mensilmente alla dose di 6 mg/kg (spot on), include Sarcoptes scabiei, Otodectes cynotis (solo nel gatto), alcune zecche (Rhipicephalus sanguineus), i pidocchi e le pulci (adulti e uova). Anche se non registrata per questo parassita nel cane, la selamectina si è rivelata efficace nei confronti di Otodectes cynotis. La selamectina è risultata efficace anche nella terapia della cheyletiellosi felina se data tre volte, una ogni mese, anche senza decontaminazione ambientale e nella terapia della rogna notoedrica del gatto dopo solo una somministrazione alle dosi raccomandate dalla ditta produttrice; è risultata inoltre efficace anche nella terapia degli acari nasali se data quattro volte a intervalli di due settimane e recentemente nell'infestazione da Neotrombicula autumnalis nel gatto.

Tossicità

I mammiferi sono meno sensibili dei parassiti agli effetti delle avermectine e milbemicine, poichè le sinapsi nervose mediate dal GABA sono presenti solo nel sistema nervoso centrale, mentre negli invertebrati esse regolano l'attività muscolare periferica. Queste molecole hanno un ampio margine di sicurezza poiché non sono capaci di superare la barriera emato-encefalica. 
Se l'ivermectina viene somministrata ad alte dosi (oltre 2 mg/kg nei cani beagle) si osservano segni di tossicità già dopo 4 ore: atassia, tremori, midriasi, depressione, coma e morte. La DL50 per una dose unica nel beagle è di 80 mg/kg. 
Nel gatto la dose più alta senza effetti collaterali è di 0,750 mg/kg, e in genere si osservano effetti collaterali solo se si supera la dose di 0,5 mg/kg. Tuttavia i gattini al di sotto delle 4 settimane possono andare in contro a gravi intossicazioni. I lattoni macrociclici non sembrano influire sulla gravidanza o sulla fertilità maschile nel cane. 

Tossicità idiosincrasica all'ivermectina è stata osservata nel collie, nel pastore australiano, nel pastore delle Shetland, nel bobtail e nei loro incroci, a dosi utilizzate normalmente per il trattamento degli ectoparassiti (0,3-0,6 mg/kg). Questa sensibilità non è propria di ogni animale appartenente ad una specie a rischio, ma solo circa nel 35% di essi, ed è legata ad un gene autosomico recessivo. Queste reazioni non si osservano alle dosi utilizzate per la profilassi della filariosi cardiopolmonare (6 mg/kg). La milbemicina e la selamectina non presentano problemi per queste razze ai dosaggi normalmente utilizzati per la terapia degli ectoparassiti, mentre non vi sono dati publicati per la moxidectina.

Un'altra reazione avversa collegata all'uso dei lattoni macrociclici ad alte dosi è rappresentata dalla possibile massiva e rapida distruzione di microfilarie in animali affetti da filariosi cardiopolmonare, che può causare vomito, dispnea e atassia nel 5% degli animali affetti, mentre lo shock anafilattico è raro. Per questa ragione sarebbe preferibile testare, nelle aree endemiche di filariosi cardiopolmonare, i cani prima di somministrare queste molecole alle dosi ectoparassiticide. Questo problema non sembra manifestarsi se si usa la selamectina.

TERAPIA DELLA DEMODICOSI CANINA

Sebbene per la demodicosi si utilizzino alcuni dei farmaci utilizzati per il trattamento delle altre parassitosi sostenute da acari, i dosaggi e gli intervalli di somministrazione sono molto diversi in quanto legati alla complessità di questa malattia ed alla maggior resistenza di Demodex.

Demodicosi localizzata

La forma localizzata di demodicosi non va trattata perché in oltre il 90% dei soggetti affetti, solitamente animali sotto l'anno d'età, la malattia si risolve spontaneamente. Questi soggetti vanno tenuti sotto controllo clinico ed i proprietari devono essere a conoscenza della possibilità che una piccola percentuale di cani possano manifestare la generalizzazione della malattia; in questo modo si rende possibile individuare i soggetti che non dovrebbero riprodursi per evitare che nella progenie si possano verificare altri casi di demodicosi generalizzata, infatti gli animali che sviluppano la forma generalizzata andrebbero sterilizzati.

Demodicosi generalizzata canina

La forma generalizzata è invece una malattia cutanea molto grave e frustrante sia per il proprietario sia per il Medico veterinario curante, tanto che in passato molti animali malati venivano sottoposti ad eutanasia a causa della gravità dei sintomi. Oggigiorno, con l'avvento di nuove molecole e di nuovi protocolli terapeutici, gli animali vengono curati e solo in casi eccezionali i proprietari richiedono l'eutanasia.

Amitraz 

L'amitraz è un acaricida/insetticida appartenente alla famiglia delle formamidine ed è la prima molecola registrata per il trattamento della demodicosi. E' un inibitore delle MAO (mono-amino ossidasi), un agonista a-adrenergico ed inibisce la sintesi di prostaglandine L'amitraz è stata per oltre 20 anni la molecola di prima scelta nel trattamento di questa malattia e viene utilizzata topicamente (spugnature) a concentrazioni che vanno da 0,025% ogni due settimane a 0,05 settimanalmente. In Francia è stato utilizzato ad una concentrazione dello 0,1% e in alcuni lavori sono riportate applicazioni giornaliere o concentrazioni fino all'1,25% (settimanalmente).
Sembra che l'efficacia sia direttamente proporzionale alla concentrazione del farmaco e che comunque queste variazioni, nel dosaggio e negli intervalli di somministrazione, si siano rese necessarie in animali che non avevano risposto alle terapie convenzionali.
In animali con pododemodicosi o con otite da Demodex, l'amitraz è stato miscelato con dell'olio di paraffina o minerale (0.13%, 0.55%, 2% di amitraz) ed applicato quotidianamente o ogni tre giorni; questa miscela con l'olio consentirebbe una migliore penetrazione della molecola.
Addirittura in uno studio 11 cani sono stati trattati con buoni risultati, applicando un collare impregnato di amitraz al 9% e sostituito ogni tre settimane.
Prima di effettuare le spugnature viene suggerito di lavare i cani con uno shampoo a base di perossido di benzoile per la doppia attività di tale molecola, che agisce sia come antibatterico (le forme generalizzate sono sempre complicate da batteri) che come cheratolitico (attività sgrassante e di flushing follicolare) in modo da facilitare la rimozione del materiale cheratoseborroico intrafollicolare e consentire all'amitraz di penetrare meglio nel follicolo pilifero.

L'Amitraz non è scevro da effetti collaterali, sia per il cane sia per l'operatore, pertanto qui di seguito verranno elencati alcuni suggerimenti volti a ridurre eventuali complicazioni durante la sua applicazione:

- Le soluzioni vanno preparate ogni volta e non conservate in quanto perdono efficacia

- Bisogna aerare i locali in cui si effettuano le spugnature ed indossare i guanti

- Tosare i cani a mantello lungo

- Non applicare su cute ulcerata per evitare un eccessivo assorbimento che aumenterebbe la possibilità di effetti collaterali; a tal proposito in presenza di gravi lesioni dermatologiche è indicato prescrivere una terapia sistemica a base di antibiotici per almeno due settimane prima di effettuare le spugnature. La terapia antibiotica deve prolungarsi per tutto il trattamento farmacologico vista l'importanza dell'infezione batterica nella patogenesi della malattia

- Essendo un a-adrenergico e quindi iperglicemizzante, non bisogna trattare i cani diabetici e consentire ai proprietari diabetici di eseguire personalmente le spugnature.

Gli effetti collaterali sono numerosi e possono interessare diversi organi ed apparati. Tra i principali troviamo depressione, sonnolenza, atassia, PU/PD, vomito e diarrea

Lattoni macrociclici

L'utilizzo di tali molecole, ed in primis dell'ivermectina, ha salvato molti cani dall'eutanasia. Come detto, queste molecole utilizzate da anni a dosaggi di 0,2 mg/Kg nel trattamento delle altre malattie da acari, sono utilizzate ormai da diversi anni anche nella demodicosi; in quest'ultima però si rendono necessari dosaggi doppi o tripli 0,3-0,6 mg/Kg somministrati per os quotidianamente. Infatti gli intervalli settimanali o quindicinali non sono in grado di guarire la demodicosi, come accade invece per le altre malattie. Le altre avermectine (abamectina e doramectina) hanno un'efficacia sovrapponibile.
La milbemicina ossima è stata registrata ultimamente per il trattamento della demodicosi canina con dosaggi che vanno da 0,5 a 2 mg/Kg a seconda della risposta soggettiva; anche tale molecola va somministrata quotidianamente. La milbemicina è un'ottima opzione nelle razze ivermectina-sensibili. La moxidectina si è dimostrata efficace a dosaggi ed intervalli di somministrazione simili a quelli dell'ivermectina.

Altre opzioni terapeutiche

In letteratura è riportato, in monoterapia o in associazione con le suddette molecole, l'utilizzo di levamisolo (per la sua supposta attività immunostimolante), di vit. E, di lufenuron, ecc., ma la cui utilità si è rivelata praticamente nulla. 

Qualunque sia la molecola utilizzata o il protocollo scelto resta fondamentale, ai fini di un successo terapeutico, la gestione del cane malato. La terapia va infatti interrotta quando non sono più visibili parassiti ai raschiati cutanei eseguiti a tre-quattro settimane di intervallo e più precisamente l'animale si può definire guarito, solo dopo che due raschiati consecutivi abbiano dato esito negativo. La maggior parte degli insuccessi nel trattamento della demodicosi generalizzata risiede proprio nel non effettuare, durante la terapia, i periodici controlli parassitologici e di accontentarsi di una apparente guarigione clinica

Demodicosi felina

Anche nel gatto è stato utilizzato l'amitraz allo 0,0125-0,025 % una o due volte alla settimana con buoni risultati. I gatti sono però più sensibili dei cani agli effetti secondari della molecola, che va quindi usata con cautela. 
Nelle forme localizzate è stato utilizzata con successo una crema a base di rotenone e tre gatti sono stati trattati con 0,6 mg/Kg sc a settimana con doramectina con buoni risultati. Comunque per quanto riguarda i gatti, sebbene la terapia possa risultare efficace sui parassiti, si osserva frequentemente una recidiva se non viene gestita la malattia sottostante che è spesso causa di decesso naturale o per mezzo dell'eutanasia. 



LETTURE CONSIGLIATE:

1. Albanese F., Leone F.: Manuale pratico di parassitologia cutanea del cane e del gatto. 2004 ed. Pfizer

2. Bowmann DD: georgis' parasitology for Veterinarians, 7th ed. WB Saunders Co, Philadelphia 1999

3. Curtis: Current trends in the treatment of Sarcoptes, Cheyletiella and Otodectes mite infestations in dogs and cats: Vet Dermatology, Vol 15 n. 2 , 2004, p.108-114

4. Kwochka KW: in Griffin, Kwochka, MacDonald (eds): Current Veterinary Dermatology, Mosby Year Book, p. 72, 1993

5. Mueller, R: Treatment protocols for demodicosis: an evidence-based review. Vet Dermatology, Vol 15 n. 2 , 2004, p.75-89

6. Muller, Kirk, Scott: Small Animal Dermatology, p.423-516, Saunders, 2001, 6th ed.

7. Noli C., Scarampella F: in Dermatologia del cane e del gatto. Poletto editore, 2002

8. Wall, Shearer, : Mites: in Veterinary ectoparasites: biology, pathology & control. II ed. Blackwell Science, Oxford

 

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