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La bioequivalenza

a cura di di Elisa Lucchesini

L'importanza della bioequivalenza

Se la quantità di principio attivo è la stessa, forma farmaceutica e via di somministrazione anche, ma il prezzo è inferiore, chi ci garantisce che la qualità sia sempre uguale quando i produttori sono diversi? Le prove di bioequivalenza.
Una ditta che produce un generico per ottenere l'AIC deve presentare, al Ministero della Sanità, studi che ne dimostrino la bioequivalenza al medicinale di cui è la copia. In termini pratici la documentazione richiesta è enormemente ridotta, rispetto a quella necessaria per registrare un nuovo farmaco, o un nuovo dosaggio di un farmaco già in commercio, ma non per questo diminuiscono le garanzie per il paziente. Bioequivalenza significa che due farmaci (il generico e il marchio di confronto) devono avere esattamente lo stesso comportamento, una volta entrati nel nostro organismo, in termini qualitativi e quantitativi.
Efficacia terapeutica, potenza dell'azione, tempo di comparsa dell'effetto e sua durata, effetti collaterali e loro incidenza, tutti questi parametri devono risultare identici. Perché si verifichino queste condizioni non è sufficiente che la quantità di principio attivo sia la stessa (100 mg per compressa), né che gli eccipienti utilizzati nella formulazione siano i medesimi (si possono usare anche eccipienti diversi). Il nostro organismo, infatti, è molto sofisticato: se ci fossero impurezze (prodotti chimici formatisi durante, o dopo, la lavorazione) nel farmaco generico in percentuali più elevate, o anche solo una diversa forma cristallina di uno dei componenti attivi, l'assorbimento del medicinale o la sua efficacia potrebbero cambiare. Queste le ipotesi migliori: infatti, oltre ad una perdita di efficacia, potrebbe anche manifestarsi un aumento della tossicità del farmaco.
Quando un generico arriva in farmacia, quindi, significa che il Ministero della Sanità ha già accertato che il suo comportamento è perfettamente sovrapponibile a quello del medicinale di riferimento.

E poi c'è il co-marketing...

Tuttavia, escludendo i galenici, un vero mercato di generici nel nostro Paese non esisteva, mentre era, ed è ancora, molto diffuso un fenomeno tipicamente italiano: quello del co-marketing. Molte aziende, titolari di farmaci coperti da brevetti ancora in corso di validità, possono concedere ad altre aziende la compartecipazione nella commercializzazione degli stessi principi attivi. Il farmaco co-marketing viene registrato con lo stesso iter del farmaco leader e sarà quindi venduto con un nome di fantasia. Queste specialità medicinali sono uguali, non bioequivalenti farmaceutici: stesso principio attivo, stessa dose, stessa forma farmaceutica, stessa via di somministrazione, stesse indicazioni terapeutiche. Il DPR n.94 del 21 Febbraio 1989 consente l'intercambiabilità solo tra le "specialità medicinali", e solo in regime di SSN (farmaci mutuabili) in caso di: momentanea irreperibilità del medicamento nel normale ciclo distributivo, o eccezionale mancanza del prodotto in farmacia, con particolare riguardo ai casi di urgenza assoluta e manifesta. Questo significa che se voi chiedete il farmaco X dell'azienda Rossi e questo non è disponibile, se la ditta Bianchi lo produce in co-marketing chiamandolo Y il farmacista può darvi quest'ultimo. Questa convenzione nazionale, anche se poco utilizzata dalla maggioranza dei farmacisti, di fatto penalizza i farmaci generici, che non sono "specialità", e priva il Servizio Sanitario Nazionale di una possibilità di risparmio.

Tratto da un articolo di Elisa Lucchesini
Sito web consigliato dallo staff:
www.dica33.it

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