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Ritratti di cani: omaggio ai prediletti. Rispetto da rinnovare

a cura di Maria Isabella Safarik

L'attività di ritrarre animali nel Settecento raggiunse il culmine. Oltre alle riproduzioni su piccoli oggetti da toeletta e soprammobili, borghesia e aristocrazia scoprono che il più bel soggetto dell'arte, oltre alla propria effige, è quella dell'animale domestico prediletto, in primo luogo cani, da caccia per gli uomini, da salotto per le dame, ma anche cavalli e animali esotici. Il topos iconografico dell'animale preferito è Storicamente molto antico. Teofrasto nei suoi Caratteri, stralcio della vita ateniese del IV sec. a.C., descrive il Vanitoso: "Se gli è morto il cagnolino maltese, gli fa costruire una tomba con una colonna e la scritta Klados di Malta [nome del cane o virgulto di malta]". La Vanità, che per la filosofia greca è sintomo di corruzione morale, nella società rococò si trasforma in accreditata eccentricità. 
Pittori, disegnatori, incisori, scultori e artefici delle cosiddette arti minori di tutta Europa tra rococò e neoclassicismo dovettero adeguarsi alla richiesta di soggetti animali nelle più svariate forme: scene mitologiche e di metamorfosi, scene di caccia, ritratti di cacciatore con cane, ritratti con animali domestici protagonisti esclusivi. Alcuni artisti accettavano particolarmente volentieri l'incarico, manifestando la speciale vocazione a rendere al meglio questi soggetti, come ad esempio, l'artista moravo Martin Ferdinand Quadal (1736-1809).
Il gruppo scultoreo di Atteone trasformato in cervo e assalito dai suoi cani del bacino della cascata della Reggia vanvitelliana di Caserta, con i cani realizzati da Pietro Solari [vedi fig. http://www.difossombrone.it/curiosita/main32reggiadicaserta.htm ], ispira ad altri artisti lo sviluppo di quei temi. Quadal, che si trovava allora a Caserta, subisce anch'egli la suggestione dei meravigliosi statuari molossi e levrieri della fontana in procinto di sbranare il perduto padrone. Le sembianze di questi esemplari non sono in realtà affatto minacciose. E' verosimile quindi che alcuni, se non tutti, fossero raffigurati dal vero, patrimonio personale di Ferdinando IV di Borbone, assiduo cacciatore nei suoi possedimenti campani, accompagnato da un largo seguito aristocratico raramente compiaciuto da ciò.
Il titolo Ritratto di canettiere di corte non deve ingannare sul fatto che i cani da caccia di questi e di altri due dipinti eseguiti da Quadal a Caserta nel 1784, commissionati da un nobile cacciatore, siano pose dal vero per esibire i trionfi dell'arte venatoria: il canettiere, maestro di caccia e addestratore, senza i suoi protetti, non ha altrimenti alcuna ragion d'essere.
Gli artisti comunicano tra loro su due livelli, uno dichiarato e uno inconscio. La testa del cervo catturato dai levrieri, per un curioso intreccio raffigurativo, corrisponde alla testa di Atteone trasformato in animale cacciato dai i suoi cani, tra i quali proprio dei levrieri.
Il collare del molosso in marmo e lo stemma marchiato su quello dipinto accanto al cinghiale abbattuto li rendono cani davvero esistiti dall'indole docile, non simboli dell'arte, metafore filosofiche, animali mitologici: la loro vita non può essere messa in dubbio. Tali immagini hanno la funzione delle fotografie che padroni orgogliosi fanno dei loro amati, con l'unica differenza che tele e marmi dopo due secoli li possiamo ammirare identici. L'investimento intellettuale, economico e di tempo in queste fedeli riproduzioni è direttamente proporzionale alla fedeltà del proprio compagno. Levrieri, specializzati in caccia bassa di volpi, lepri e cervi nelle radure, coraggiosi molossi da caccia grossa cinghiale nella boscaglia, segugi pezzati e un ampio caleidoscopio di razze presso le corti si guadagnavano servizi esclusivi, garantiti da uno stuolo di domestici alloggiati con essi negli edifici presso le tenute di caccia. Le mute e la selvaggina posano per i dipinti nell'ambientazione di Siti Reali come San Leucio e Carditello, dove terreni recintati custodiscono ricca fauna, casini delle delizie sontuosamente decorati sono predisposti per i riposi aristocratici e la caccia si eleva a passatempo d'elite. Quadal e gli artisti di passaggio durante il Grand Tour al Palazzo Reale dei Borbone, rimasti colpiti da tanta considerazione animalista in controparte all'aggressiva pratica dei cacciatori, accoglievano frequenti ingaggi ben retribuiti e ottenevano elevati esiti stilistici e compositivi.
L'omaggio che in tal modo si porgeva ai più fedeli amici dell'uomo sia d'esempio e monito per il cinofilo domestico e il cacciatore: in modi meno eclatanti possiamo rendere loro il medesimo rispetto.



Postilla biografica

Martin Ferdinand Quadal (Chvátal) nasce nel 1736 nel borgo agricolo di Merovice in Moravia (Rep. Ceca). Nel 1767, un anno dopo J.-L. David, si iscrive all'Accademia di Belle Arti di Parigi su raccomandazione di Boucher, studiando Rubens, Van Dyck e le composizioni di Chardin. Nel 1772 entra nella Royal Academy of Art di Londra venendo in contatto con Reynolds e Gainsborough. Ottiene numerose commissioni dall'aristocrazia inglese, irlandese e scozzese, che gli chiede di ritrarre anche animali domestici. Nel 1784-85 visita Roma, Napoli, Caserta e infine Pisa, dove dona al Granduca di Toscana Pietro Leopoldo l'Autoritratto con cane (Uffizi), prototipo che riutilizzerà per numerosi ritratti con cane sulle ginocchia. Nel 1785 accetta l'invito del suo più affezionato protettore Conte A. Lamberg-Sprinzenstein di andare a Vienna, dove nel 1787 esegue il capolavoro della Sala del Nudo dell'Accademia nell'Edificio di Sant'Anna a Vienna, ritratto di gruppo che lo raffigura al lavoro con i colleghi artisti nell'effetto luce artificiale reso celebre da Zoffany e Wright of Derby. Lasciata Vienna, negli anni '90 risiede ancora a Londra e poi soggiorna brevemente in Olanda. Trascorre parecchi mesi in Germania organizzando l'ultima destinazione, San Pietroburgo. Dal 1800 ritrae, sulle orme del collega G.B. Lampi conosciuto a Vienna, la famiglia Romanov e la nobiltà di corte, acclamato come maestro all'Accademia di Belle Arti, muore nel 1809
Nel Neoclassicismo europeo il ruolo equilibrato di ritrattista di corte è standardizzato. L'opera di Quadal, mediante l'esplorazione di tutti i generi pittorici, del disegno e dell'incisione, reinterpreta questa posizione, senza appiattirvisi e arriva, nell'intenzione, ad anticipare di mezzo secolo i risultati naturalistici dell'Atelier di G. Courbet. La sua biografia è arricchita da esperienze di viaggi reali e letterari (Goethe è il suo alter ego letterario), che gli danno la possibilità di entrare in contatto con l'elite culturale di tutta Europea, la borghesia commerciale e perfino con la gente più semplice preoccupata dei suoi mestieri e animali.

Nota
La monografia con catalogo ragionato su M.F. Quadal ad opera di chi scrive è in corso di stampa. Ulteriori dettagli sul sito http://www.eduardsafarik.com/mariaisabella/ .


Martin Ferdinand Quadal, Ritratto di un canettiere di corte. 
La caccia bassa in radura (1784). Caserta, Palazzo Reale.


Martin Ferdinand Quadal, Ritratto di un canettiere di corte. 
La caccia grossa nella macchia (1784). Caserta, Palazzo Reale.


Martin Ferdinand Quadal, Due levrieri con cacciagione (1784). 
Vienna, Gemäldegalerie der Akademie der Bildenden Künste.


Martin Ferdinand Quadal, Due molossi accanto ad un cinghiale abbattuto, (1784). Vienna, Gemäldegalerie der Akademie der Bildenden Künste.

 

Lo staff desidera ringraziare la Sig.ra Maria Isabella Safarik per la collaborazione

 

 

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