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Esame semeiologico dell'apparato digerente

a cura di Prof. M. Modenato e Prof. V. Marchetti

L'apparato digerente dei piccoli animali è costituito dalla bocca, dall'orofaringe, dall'esofago, dallo stomaco, dal piccolo intestino (duodeno, digiuno e ileo) e dal grosso intestino (colon ascendente, traverso, discendente, retto). Prima di esaminare le singole parti, prendiamo in considerazione alcuni segni, la loro fisiopatologia ed il loro significato, che possono essere riferibili a problemi legati all'apparato digerente.

SEGNI ED ESAME CLINICO

Scialorrea (o ptialismo)
La scialorrea, o ptialismo, è la produzione eccessiva di saliva; va distinta dalla pseudoscialorrea (o pseudoptialismo), che rappresenta l'impossibilità, l'incapacità o la riluttanza a deglutire, con il risultato di una eccessiva fuoriuscita di saliva dalla cavità orale.

Fisiopatologia. La saliva è prodotta continuamente dalle ghiandole salivari. Tale produzione può essere iperstimolata per azione diretta sui nuclei salivari del tronco encefalico a seguito di stimoli tattili o gustativi di provenienza dalla cavità orale, e in particolar modo dalla lingua. Un'azione stimolante o inibente la produzione di saliva può essere esercitata anche da centri superiori del SNC. Fisiologicamente, una iperproduzione di saliva può essere riscontrata in associazione con l'attesa del pasto, con l'ipertermia, o con l'atteggiamento delle fusa del gatto.
L'iperproduzione può essere indotta da lesioni orali, faringee, esofagee o gastriche, come anche da lesioni a carico del SNC, o da altre manifestazioni cliniche come la nausea, e talvolta si manifesta solo attraverso un aumento della frequenza degli atti di deglutizione. In caso di alterazioni anatomofunzionali orali, quali ad es. lesioni labiali, fratture mandibolari con perdita di sostanza, esiti di chirurgie demolitive, di alcuni nervi cranici (V, VII, IX, X, XII), o di lesioni oro-faringo-esofagee che possano determinare difficoltà o dolore alla deglutizione, quali ad es. infiammazioni, corpi estranei, megaesofago, si può avere una perdita di saliva dal cavo orale anche a fronte di una normale produzione.

Rilievi anamnestici, clinici e loro significato
Età e razza: gli animali giovani sono in genere più propensi all'ingestione indiscriminata di oggetti vari, per cui possono essere più frequenti corpi estranei, lesioni traumatiche del cavo orale, costipazioni, come anche causticazioni o lesioni da folgorazione. Allo stesso tempo nei giovani vanno prese in considerazione le patologie congenite, quali il megaesofago, o lo shunt porto-sistemico, o le malformazioni della bocca (prognatismo, enognatismo, pleuroepicheiloschisi). Tutte queste lesioni possono determinare una eccessiva produzione di saliva unita, in taluni casi (es. enognatismo), ad una difficoltà nel trattenere la saliva nel cavo orale.

Dieta: lesioni dolorose del cavo orale possono rendere difficoltosa la masticazione di alimenti solidi e duri inducendo scialorrea, o repulsione per il cibo, o incapacità a trattenerlo in bocca, così come anche diete particolari possono indurre secondariamente scialorrea riflessa (es. diete iperproteiche in soggetti con shunt porto-sistemico)

Difficoltà alla deglutizione: è importante, in caso di scialorrea, verificare la funzione di deglutizione osservando l'animale mentre mangia e beve. Oltre alle lesioni orali, anche lesioni o disfunzioni faringo-esofagee, crico-esofagee, esofagee, come anche disturbi neuromuscolari o semplicemente masse retrofaringee e periesofagee (rappresentate da linfonodi o tiroide in preda a fenomeni reattivi o neoplastici) o neoplasie primarie e corpi estranei possono determinare scialorrea.
Vomito e rigurgito: disturbi esofagei, come infiammazioni, corpi estranei, tumori, o anche la nausea, possono indurre scialorrea. Alterazioni comportamentali e neurologiche: la presenza di un dolore orale può indurre alterazioni del comportamento, quali depressione o aggressività. Altrettanto, seppure attraverso meccanismi diversi, può accadere in corso di patologie epatiche croniche gravi o di malattie infettive (rabbia). Si può avere scialorrea anche come segno prodromico o durante una crisi convulsiva.

Altre cause: nella valutazione della scialorrea devono essere prese in considerazione anche le terapie eseguite, la possibile assunzione di tossici o gli effetti di una eventuale anestesia, per gli effetti che alcune sostanza chimiche possono avere direttamente o indirettamente sul SNC o sull'apparato gastroenterico (esofagiti, gastriti).

Rilievi clinici associati e loro interpretazione
Alitosi: l'alitosi può essere causata da lesioni a carico del primo tratto dell'apparato digerente, ma prevalentemente è determinata da lesioni localizzabili nel cavo orale, quali disturbi dentali e parodontali, ulcere, cheiliti, stomatiti. Talvolta si può rilevare alitosi secondariamente a disturbi esofagei (esofagiti croniche, megaesofago) o gastrici.

Lesioni del cavo orale: fra le cause più frequenti di scialorrea si possono annoverare i disturbi dentali o parodontali. Carie, tartaro e periodontiti inducono fenomeni infiammatori locali con irritazione gengivale, retrazione gengivale, accumulo e conseguente fermentazione o putrefazione di residui di cibo fra i denti o fra denti e gengiva. Traumi a carico della testa possono determinare fratture o avulsioni dentali, fratture della mandibola o della mascella, con dolore, incapacità a trattenere la saliva e, nei casi inveterati, necrosi locale. Fenomeni infiammatori del cavo orale, come stomatiti, cheiliti, glossiti, o la presenza di masse (granulomi, tumori, sialocele) o ulcerazioni, possono determinare scialorrea o pseudoscialorrea, per azione irritativa diretta, per ostacolo al contenimento della saliva o per le possibili difficoltà incontrate nel movimento della lingua che deve accompagnare la deglutizione. Lesioni infiammatorie ulcerative orali associate a lesioni della giunzione mucocutanea labiale possono far pensare a problemi di natura immunomediata Nel gatto si possono evidenziare infiammazione ed ulcerazioni dell'arco glossopalatino, denominate faucite, che causano dolore intenso e scialorrea. Corpi estranei: la presenza di corpi estranei è un evento frequente negli animali da compagnia. Attenzione deve essere posta nell'esame del palato (dove si possono trovare corpi estranei incastrati fra le arcate dentarie) e della base della lingua (dove si localizzano talvolta corpi estranei filiformi che si arrotolano intorno ad essa). Un'altra sede di corpi estranei è rappresentata dalle tasche tonsillari e dalla faringe, dove sono più frequenti da reperire corpi estranei perforanti (aghi, ossa acuminate, reste di graminacee) Saliva emorragica: il rilievo di sangue nella saliva indica generalmente una lesione del cavo orale, anche se può conseguire a lesioni sanguinanti del primo tratto gastrointestinale, a lesioni delle prime vie aeree o dei polmoni. Disfagia e dolore: questi segni clinici, spesso associati alla scialorrea, in genere esprimono un problema a carico del faringe, con conseguente riluttanza ad aprire la bocca.

Deficit neurologici: ci possono essere difficoltà alla chiusura della bocca per lesione del V nervo cranico (n. trigemino), incapacità a muovere le labbra per paralisi del VII nervo cranico (n. facciale), o disturbi della deglutizione per paralisi dei nervi IX (n. glossofaringeo), X (n. vago), XII ( n. ipoglosso). Incapacità a chiudere la bocca: questa può essere conseguente a lussazioni mandibolari, dislocazione del processo coronoideo, dislocazione di denti, fratture, presenza di corpi estranei.

Masse: linfonodi aumentati di volume o, più raramente, tumefazioni della ghiandole salivari, possono determinare scialorrea.

Rigurgito faringeo (gagging)
Si definisce gagging l'attività riflessa di deglutizione-vomito che consiste nel sollevamento del palato molle seguita da movimenti antiperistaltici del primo tratto del tubo digerente (faringe ed esofago).
La deglutizione consiste nell'assunzione di cibo o bevanda con la bocca ed il successivo passaggio di questi nella faringe e nell'esofago. La deglutizione consiste pertanto in una associazione di movimenti volontari e di atti riflessi che, una volta iniziati, proseguono autonomamente. Fisiopatologia: Il riflesso di deglutizione consiste in una sequenza prefissata e ordinata di eventi che fanno sì che il cibo transiti dalla bocca allo stomaco e che ci sia, attraverso la chiusura della glottide, la contemporanea inibizione della respirazione, in modo da impedire l'inalazione di materiale estraneo nella trachea e nelle vie profonde con possibili pericolose conseguenze (polmonite ab ingestis). Le vie nervose coinvolte nel riflesso della deglutizione sono costituite dalle branche sensitive e motorie dei nervi V (n. trigemino), VII (n. facciale), IX (n. glossofaringeo) e XII (n. ipoglosso). Gli impulsi sensitivi originano da recettori tattili, localizzati prevalente all'adito faringeo, e vengono trasmessi a specifiche aree del midollo allungato. Il centro della deglutizione è costituito da un'area specializzata localizzata nella parte caudale del ponte e nel midollo allungato. Le vie motrici ritornano alla muscolatura laringea ed esofagea superiore attraverso alcuni nervi cranici.

Il processo della deglutizione avviene in tre fasi:

1. fase orale: è una fase volontaria, che inizia con la separazione di una piccola quantità di cibo (bolo) dalla massa globale che si trova nel cavo orale ad opera della lingua, che si disloca dorsalmente con un movimento armonico rostro-aborale schiacciando il bolo contro il palato duro e spingendolo così in direzione caudale; l'arrivo in faringe stimola i recettori tattili che danno inizio al riflesso della deglutizione.

2. fase faringea: è molto breve (meno di 1 secondo) e coincide con un temporaneo arresto della respirazione. Il palato molle è spinto dorsalmente e le pliche palatofaringee si dislocano medialmente, in modo tale da prevenire il reflusso di cibo nel rinofaringe e da qui nelle coane e nelle cavità nasali. Allo stesso tempo le corde vocali si chiudono, l'epiglottide si solleva sigillando l'adito laringeo ed il bolo viene spinto caudalmente dalla contrazione della muscolatura faringea. Lo sfintere esofageo craniale si rilassa per accettare il bolo in arrivo, i muscoli costrittori dorsali della faringe si contraggono e danno inizio al passaggio del bolo nell'esofago, inducendo la terza fase.

3. fase esofagea: questa fase è controllata in parte dal centro della deglutizione. Lo sfintere esofageo craniale, o muscolo crico-faringeo, o sfintere faringo-esofageo, immediatamente dopo il passaggio del bolo si contrae per impedire il rigurgito del bolo. Inizia un movimento peristaltico che porterà il bolo lungo l'esofago in circa 10 secondi; questa prima onda peristaltica è detta peristalsi primaria, è controllata dal centro della deglutizione ed in genere è sufficiente a svuotare l'esofago del suo contenuto. Qualora l'esofago non si svuotasse, la stimolazione dei recettori tensili locali ed il riflesso della deglutizione inducono un movimento di peristalsi secondaria, indotto appunto dalla persistente dilatazione esofagea. Durante i movimenti peristaltici dell'esofago si induce il rilassamento dello sfintere esofageo caudale, o sfintere esofago-gastrico, o cardias, che consente al bolo di passare nello stomaco. Nel cane la muscolatura del terzo craniale dell'esofago è prevalentemente di natura striata, volontaria, mentre il terzo caudale è prevalentemente di natura liscia, involontaria, e il terzo centrale è a componente mista. Nel gatto il passaggio dalla parte striata a quella liscia è brusco ed avviene in corrispondenza della base del cuore. La muscolatura striata è innervata dalla componente somatica del n. vago, mentre la parte liscia è innervata da fibre pregangliari parasimpatiche viscerali.

Il gagging è spesso associato a conati, con sono tentativi involontari e inefficaci di vomitare, determinati dalle stesso cause che inducono il vomito. Un altro segno clinico, che può essere associato e confuso con il gagging, è l'espettorazione, una sorta di tosse che proviene dalla gola e che mira a ripulire le vie aeree superiori dal muco, senza però nausea o contrazione addominale.

Disfagia
La disfagia è definibile come una alterazione della deglutizione,
caratterizzata da difficoltà o dolore, che può essere legata a dolore durante i processi di deglutizione, ostruzione del cavo orale o della faringe, disturbi neuromuscolari che alterano il complesso meccanismo della deglutizione determinando debolezza o incoordinazione.

La disfagia è in genere suddivisa in tre tipi, con diversi segni clinici in funzione della localizzazione e della gravità del problema:

1. disfagia orale: consiste in difficoltà nella prensione del cibo o nella formazione del bolo alla base della lingua. Si manifesta con difficoltà alla prensione ed alterazione masticazione o del comportamento alimentare, come masticazione con la testa inclinata, o deglutizione aiutata da movimenti della testa.

2. disfagia faringea: consiste in una alterazione della deglutizione legata ad un malfunzionamento o in coordinazione dei movimenti involontari che si attuano durante il passaggio del bolo attraverso l'orofaringe. La prensione degli alimenti è buona, ma la deglutizione è difficile, e spesso accompagnata da movimenti di flessione ed estensione del collo e di avanzamento della testa.

3. disfagia crico-faringea: consiste nel mancato rilassamento (acalasia) o nella chiusura dello sfintere crico-faringeo o in una asincronia crico-faringea. La deglutizione avviene dopo numerosi tentativi e può essere accompagnata da tosse o conati. Ci può essere anche rigurgito durante o immediatamente dopo la deglutizione.

Gli animali giovani affetti da disfagia in genere presentano problemi congeniti, quali la disfagia crico-faringea, che si può evidenziare al momento dello svezzamento; soggetti giovani è adulti più frequentemente presentano problemi correlati all'ingestione di corpi estranei o di caustici; nei soggetti anziani, specie se in associazione a segni generali quali perdita di peso, disoressia, più facilmente ci si trova di fronte a disturbi sistemici. Le manifestazioni acute depongono in genere per la presenza di un'ostruzione di tipo meccanico, legata a corpi estranei, infiammazioni, masse. E' necessario sempre un accurato esame neurologico, volto all'individuazione di deficit a carico dei nervi cranici, della postura e dei nervi periferici. L'esame del cavo orale deve essere condotto con estrema accuratezza, sia su paziente sveglio sia su paziente sedato, alla ricerca di corpi estranei, masse, flogosi, problemi dentari. La valutazione complessiva del paziente è sempre fondamentale, con l'ausilio di esami ematobiochimici, per inquadrare il problema in maniera più specifica, e differenziare i diversi tipi di disfagia dal vomito. Fra gli esami collaterali, oltre alle radiografie in bianco della regione, che possono essere eseguite durante la narcosi indotta per l'esame profondo del cavo orale, si possono rendere necessari esami endoscopici o esami radiografici in fluoroscopia, con registrazione, per lo studio delle varie fasi della deglutizione.

Odinofagia
Si definisce odinofagia la deglutizione dolorosa. Le cause di questa sono da ricercare in problemi infiammatori o traumatici delle prime vie digerenti (faringe ed esofago). Si manifesta con l'estensione della testa e del collo durante la deglutizione.

Rigurgito
Si definisce rigurgito l'espulsione passiva retrograda di contenuto gastrico o esofageo. Il rigurgito può avvenire a distanza variabile dal pasto, ed il materiale può anche essere parzialmente digerito. E' di fondamentale importanza differenziare il rigurgito dal vomito; nel rigurgito mancano i conati e gli sforzi addominali tipici del vomito, e l'aspetto non dovrebbe essere mai biliare. Per differenziare i due problemi è necessaria una raccolta anamnestica accurata, eventualmente aiutata da video ripresi dal proprietario, o l'osservazione diretta del fenomeno.
Se il problema è cronico si può notare un aumento dell'appetito accompagnato da perdita di peso, talvolta anche da polmonite ab ingestis. Come per la disfagia, è necessaria un'accurata visita generale e neurologica, volta a evidenziare problemi neuropatici o neuromuscolari (miastenia), così come una accurata auscultazione per rilevare i primi segni di una polmonite ab ingestis o di alterazioni cardiopolmonari. Sono anche necessari esami collaterali quali l'esame radiografico, alla ricerca di corpi estranei, alterazioni cardiache, polmoniti, associati ad esame con mezzo di contrasto per lo studio dell'esofago e delle eventuali anomalie degli anelli vascolari, esami fluoroscopici per la valutazione della deglutizione, ed esami endoscopici per lo studio della parete esofagea.
In caso di problemi sistemi o di megaesofago, sono necessari anche esami ematobiochimici, eventualmente integrati da un profilo tiroideo, dal test di stimolazione con ACTH (cushing), dalla titolazione della acetilcolina (miastenia), del piombo (saturnismo), dall'ANA test (malattie autoimmuni).

Vomito
Si definisce vomito l'espulsione forzata retrograda di contenuto gastrico.
Il vomito costituisce un segno clinico comune, riferibile a problemi localizzabili sia nell'apparato gastroenterico che al di fuori di questo. E' fondamentale ricordare che il vomito appunto costituisce un segno clinico, non una malattia. Originariamente, il vomito è nato come un meccanismo protettivo contro sostanze estranee o irritanti per lo stomaco, per progredire come un mezzo per limitare l'assorbimento di tossici ed arrivare, in specie più evolute, a fungere da meccanismo fisiologico per la nutrizione della prole. Fisiopatologia: l'atto del vomitare è generalmente suddiviso in tre fasi, non sempre tutte riconoscibili.
1. nausea: è difficile definire e riconoscere la nausea negli animali. I segni clinici che si possono indirizzare sono costituiti da depressione, tremori, sbadigli, ripetute deglutizioni, scialorrea, leccamento delle labbra. La scialorrea ha la funzione di tamponare l'iperacidità gastrica attraverso l'ingestione di grandi quantità di saliva ricca di bicarbonati. Successivamente si assiste ad una riduzione della mobilità gastrica, dello sfintere esofageo caudale e dell'esofago stesso, cui si associa invece un aumento della motilità retrograda dell'intestino prossimale.
2. conati: i conati rappresentano la seconda fase del vomito, e sono costituiti da contrazioni forzate della muscolatura addominale associate alla contrazione del diaframma. Si crea quindi un aumento di pressione endoaddominale accompagnato da una diminuzione della pressione intratoracica. Il contenuto dello stomaco viene quindi risucchiato nell'esofago.
3. vomito: è la terza ed ultima fase, che si ha con l'espulsione forzata e violenta del contenuto gastrico dalla bocca, a seguito delle variazioni di pressione determinate da un'ulteriore contrazione diaframmatici che aumenta la pressione intratoracica e spinge il contenuto gastrico dall'esofago verso l'esterno. Al passaggio di questo nella faringe, la respirazione è temporaneamente sospesa e la chiusura del rinofaringe e della glottide impediscono al materiale gastrico di adire le vie respiratorie. L'origine del vomito risiede nel centro del vomito, localizzato nel midollo allungato, vicino ai centri della salivazione e della respirazione che, come visto prima, rappresentano atti tra loro strettamente correlati. Si tratta essenzialmente di un segno clinico non ancora del tutto chiaro, considerabile come un atto riflesso mediato neurologicamente che risponde a stimoli chimici e/o neuronali.

La stimolazione neurale ascendente segue numerose vie, vagali (organi addominali, grandi vasi toracici), simpatiche (rene, utero, vescica urinaria), glossofaringee (faringe, fossa tonsillare), vestibolari e cerebrocorticali, che possono essere stimolate da recettori periferici disseminati in tutto l'organismo. Fra questi, i recettori più importanti sono quelli localizzati a livello dell'apparato digerente, ed in particolare a livello duodenale, tanto da far definire il duodeno "l'organo della nausea". A livello cerebrale, numerosi fenomeni possono indurre il vomito, quali stimoli infiammatori, compressivi (idrocefalo, masse), emozioni, dolore, epilessia. Il centro del vomito può essere stimolato anche dall'attivazione della CTRZ (chemoreceptor trigger zone), a seguito di stimoli chimici di erigine ematologia. Le cause del vomito sono numerosissime, di varia origine e, come già visto, non necessariamente derivanti dall'apparato gastroenterico. L'anamnesi gioca quindi, come sempre del resto, un ruolo fondamentale nell'approccio al vomito. La prima cosa da cercare di capire, di fronte ad un proprietario che ci riferisce di episodi di vomito, è che si tratti veramente di vomito, differenziandolo da gagging, tosse, disfagia, rigurgito. Segnalamento, anamnesi vaccinale, trattamenti terapeutici, abitudini e malabitudini alimentari, come anche disturbi concomitanti che possono far pensare a problemi metabolici o sistemici devono essere attentamente valutati.

Sono altrettanto importanti le caratteristiche del vomito. La sua durata, la sua frequenza, la sua relazione con l'assunzione di cibo ed acqua, l'intervallo fra l'assunzione ed il vomito, le eventuali variazioni dietetiche forniscono informazioni utili per la sua caratterizzazione. Fra le caratteristiche va compreso anche l'aspetto del vomito, inteso come colore, odore, consistenza, grado di digestione, presenza di sangue o bile. Il cibo indigerito fa pensare ad un'origine gastrica, mentre la presenza di bile indica piuttosto un reflusso dall'intestino. Un cibo poco digerito vomitato lontano dal pasto (dopo oltre 8-10 ore) indica un possibile rallentamento od ostacolo allo svuotamento gastrico, come può avvenire per corpi estranei, invaginamenti, ipertrofia della mucosa, polipi, tumori. Se l'odore è fecaloide si può pensare ad un reflusso dall'intestino, o ad anormali fermentazioni intestinali, che possono conseguire ad ostruzioni nel tratto più distale dell'intestino, piccolo che grosso. La presenza di sangue nel vomito, sia fresco e vivo (ematemesi), che scuro e rappreso, è indice di emorragia conseguente ad erosione od ulcerazione della mucosa gastrica o intestinale.
L'esame clinico deve essere come sempre completo, e partire dal cavo orale alla ricerca di segni clinici di malattie sistemiche che di possibili corpi estranei lineari a partenza dal cavo orale (soprattutto alla base della lingua e nel gatto) o dalla faringe. L'addome deve essere palpato per valutare l'eventuale distensione e timpanismo degli organi cavi, come nel caso della sindrome da dilatazione/torsione gastrica e nei volvoli, per ricercare masse indicative di tumori o invaginamenti o corpi estranei, o evidenziare segni di effusione, come nelle peritoniti o nelle asciti, o evidenziare un aspetto cordonato e plicato dell'intestino tipico dei corpi estranei lineari, o la presenza di anse dilatate da gas o liquidi indicative di ostruzione intestinale. L'esame è completato poi dall'esplorazione rettale, per valutare lo stato della mucosa del colon e l'eventuale presenza di melena, che testimonia un'emorragia del tratto gastroenterico superiore, come anche la presenza di un'eventuale costipazione. Dal punto di vista diagnostico, la valutazione circa le possibili cause mediche o chirurgiche del vomito procede di pari passo. Eseguiti i routinari esami di laboratorio, importanti oltre che per indirizzare verso una diagnosi anche per valutare gli squilibri idroelettrolitici che spesso il vomito determina, si può ottenere inizialmente uno studio più generale dell'addome con un esame ecografico. Questo va condotto per primo in quanto gli esami successivi possono alterare i quadri anatomo-funzionali e complicare la diagnosi o indurre addirittura errori diagnostici. In caso di sospetto problema legato a cambiamenti di posizione o ad ostruzioni gastrointestinali comunque indotte, si rendono necessari esami radiografici, in bianco e con mezzo di contrasto, eventualmente supportati da un esame fluoroscopico con o senza l'ausilio di procinetici per studiare la progressione del bolo contrastato; il primo tratto del tubo digerente poi può essere adeguatamente indagato per mezzo di una gastroscopia mentre il colon, previa adeguata e complessa preparazione, può essere ben studiato con una colonscopia. In sede endoscopica è sempre necessario procedere contestualmente al campionamento bioptico della mucosa e della sottomucosa, anche nelle aree apparentemente non patologiche. In ultima analisi, una laparoscopia od una laparotomia diagnostiche possono essere prese in considerazione, soprattutto al fine di ottenere biopsie in siti non accessibili endoscopicamente o qualora si renda necessario un prelievo bioptico della parete a tutto spessore.

Ematochezia
Il termine ematochezia indica la presenza di sangue vivo nelle feci. Tale presenza è in genere indicativa di un'emorragia a carico dell'ultimo tratto dell'intestino (colon discendente, retto o ano). L'anamnesi ci deve fornire indicazioni sulla dieta e su sue eventuali variazioni, su terapie effettuate o in corso, su possibili traumi addominali o pelvici. L'incidenza, la frequenza ed eventuali alterazioni associate, quali perdita di peso, disoressia, vomito, letargia, sono ulteriori informazioni importanti da acquisire. Le cause di ematochezia sono diverse e differenti tra loro, ma in genere l'ematochezia non costituisce un pericolo di vita, anche se talvolta può essere abbondante e preoccupare il proprietario, salvo i casi in cui ci si trovi di fronte a tumori o a gastroenteriti gravi.
Si deve quindi condurre un esame generale ed un'esplorazione rettale, sia per confermare il problema che per esplorare le parti raggiungibili alla ricerca di masse (polipi, tumori), stenosi, lacerazioni o alterazioni della regione perianale.

Melena
Il termine melena indica una colorazione scura, nerastra delle feci, che spesso sono anche maleodoranti, riferibile alla presenza di sangue digerito. Il sangue può provenire da qualunque tratto dell'apparato gastroenterico, a partire dalla bocca, e persino dall'apparato respiratorio, con la tosse e la successiva deglutizione. Per poter notare melena occorre che il sangue sia presente in una certa quantità, e che permanga nell'intestino il tempo sufficiente alla degradazione dell'emoglobina. Per questo motivo, talvolta, emorragie importanti dei primi tratti con aumento della peristalsi possono portare sangue fresco nelle feci, mentre un rallentamento della peristalsi può determinare melena anche per emorragie a carico del colon. Non tutte le feci scure però sono indicative di melena. Dal punto di vista anamnestico è necessario escludere un problema alimentare, giacché alcuni alimenti contenenti sangue, o alcuni farmaci contenenti bismuto o carbone, possono dare una colorazione nerastra delle feci. Importante è anche l'anamnesi farmacologica, soprattutto per escludere terapie antinfiammatorie sia steroidee sia non, che possono indurre ulcerazioni gravi a carico del tubo digerente.

Dal punto di vista diagnostico, oltre agli esami ematobiochimici routinari, è utile un esame ecografico, seguito eventualmente da un esame radiografico in bianco e con mezzo di contrasto e/o da un esame endoscopico, che ci consente contestualmente di ottenere un congruo numero di campioni bioptici per precisare meglio la diagnosi. Come già visto per lo stomaco ed il duodeno, i campioni bioptici devono essere raccolti anche da settori apparentemente indenni della mucosa. Nel caso si renda necessaria un'esplorazione più completa ed accurata, si dovrà ricorrere ad una laparotomia diagnostica, che consentirà di campionare più segmenti del tubo digerente ottenendo prelievi di parete a tutto spessore, con un potenziale diagnostico nettamente superiore a quello della biopsia endoscopica.

Fisiologia del grosso intestino
Le funzioni del grosso intestino sono costituite principalmente dal riassorbimento di acqua e di elettroliti e dall'accumulo del materiale fecale prima dell'evacuazione; nella prima metà del colon (cieco, colon ascendente e parte del traverso) si realizzano prevalentemente il riassorbimento dei liquidi e degli elettroliti disciolti, mentre è la seconda metà (colon traverso e discendente) deputata al contenimento della massa fecale. Per adempiere a queste funzioni il grosso intestino è dotato di due tipi di movimento, sempre molto lenti e distinti nei due diversi segmenti: le contrazioni australi e le contrazioni per la propulsione della massa fecale. Le contrazioni australi sono contrazioni segmentali combinate dei due strati, circolare e longitudinale, della muscolatura liscia, che spostano la massa fecale e la amalgamano in modo da favorire il massimo contatto della mucosa con il materiale, al fine di realizzare il riassorbimento dell'acqua e degli elettroliti. Contemporaneamente viene esercitata una lenta propulsione verso le parti distali.

Le contrazioni propulsive spostano lentamente la massa fecale dal colon traverso al retto, dove si potrà percepire lo stimolo alla defecazione. Queste contrazioni, a differenza delle precedenti che sono continue, avvengono sporadicamente nella giornata, con incremento massimo dopo l'assunzione di cibo, stimolate dai riflessi gastro e duodeno-colico mediati dalle vie estrinseche del Sistema Nervoso Autonomo. Il loro inizio è determinato da uno stimolo distensivo o irritativo sulla mucosa.

Lo stimolo alla defecazione, percepito quando la massa fecale arriva nel retto, è mediato da un riflesso di defecazione intrinseco (debole) e da un riflesso della defecazione parasimpatico (forte). Il primo è attivato dalla distensione del retto, tramite il plesso mioenterico, e da inizio ad un'onda peristaltica ed al rilassamento dello sfintere anale interno. Successivamente le terminazioni nervose del colon discendente, del retto e dell'ano inducono il riflesso di defecazione parasimpatico, mediato dal nervo pelvico, che intensifica l'onda peristaltica. L'attivazione parasimpatica induce anche quei meccanismi responsabili della funzione del torchio addominale, quali respirazione profonda, chiusura della glottide e contrazione della muscolatura addominale. Perché si abbia defecazione è necessario che entrambi gli sfinteri anali, interno (viscerale, muscolatura liscia) ed esterno (somatico, muscolatura striata, controllato dal n.pudendo) siano rilassati. In presenza di contrazione volontaria dello sfintere esterno l'onda peristaltica va a diminuire fino a cessare del tutto. Una persistente soppressione volontaria dell'onda peristaltica può portare, nel tempo, ad una difficile evacuazione.

L'attività peristaltica dell'intestino può risultare inibita da riflessi irritativi a carico del peritoneo (riflesso peritoneo-intestinale), delle vie urinarie (riflessi reno-intestinale e vescico-intestinale) e della cute addominale (riflesso somatointestinale).

Costipazione e megacolon
Per costipazione si intende una infrequente o difficile evacuazione delle feci, caratterizzata inoltre da feci secche e dure. Talvolta può essere così grave e intrattabile da rendere impossibile l'evacuazione delle feci (obstipazione), determinando un impattamento fecale che si estende dal retto alla valvola ileociecocolica.
Il megacolon è una condizione patologica caratterizzata da ipomotilità e dilatazione del grosso intestino che esita in costipazione ed obstipazione.
Le cause della costipazione possono avere origine extraintestinale o intestinale, come anche anorettale. Le cause extraintestinali agiscono o sopprimendo la normale funzione nervosa che media la peristalsi, o inibendo i movimenti peristaltici per meccanismi riflessi quali quelli che insorgono per dispnea, debolezza o paura, oppure per eccesso di disidratazione o per ostruzione meccanica. Le cause intestinali ed anorettali riconoscono un meccanismo ostruttivo o algico, con inibizione del riflesso della defecazione, o legato a ipomotilità.

Il sintomo prevalente, in corso di costipazione, è rappresentato dal tenesmo. L'anamnesi può riferire di difficoltà alla defecazione, con frequente atteggiamento di defecazione accompagnato da sforzi improduttivi, ma anche di diarrea, per possibile passaggio di feci liquide ai margini dalla massa impattata, vomito, depressione, anoressia, dolore addominale. L'anamnesi deve indagare circa la durata del problema e sulla presenza di eventuali fattori predisponenti, quali alterazioni dell'alimentazione, ingestione di materiali indigeribili che, attraverso meccanismi ostruttivi o irritativi, possano aver determinato un rallentamento della peristalsi, eventuali traumi o precedenti interventi chirurgici addominali, per la possibile formazione di un restringimento del canale pelvico (fratture del sacro e della pelvi) o di aderenze postinfiammatorie o postchirurgiche.

Nel gatto la costipazione associata al megacolon si presenta con una certa frequenza, soprattutto nel persiano, ed in quei soggetti affetti da osteodistrofie giovanili che possono aver deformato il canale pelvico riducendone l'ampiezza. Nel gatto di Manx il problema è correlato alla deformità del rachide sacrale. Nel cane occorre prestare attenzione ai problemi prostatici ed all'eventuale presenza di una concomitante ernia perineale, che possono rappresentare causa della costipazione sia per meccanismi ostruttivi che algici. Soggetti neonati possono presentare imperforazione dell'ano, mentre in alcuni adulti la presenza di disturbi ortopedici può determinare riluttanza alla posizione di defecazione e inibizione del riflesso. Negli adulti, soprattutto nel Pastore tedesco, si dovrà escludere la presenza di fistolizzazioni perianali. L'esame fisico locale, completato dalla palpazione addominale e dall'esplorazione rettale, potrà essere integrato con la diagnostica per immagini radio ed ecografia, oltre che da un eventuale esame colonscopico.

Tenesmo e dischezia
Il tenesmo è definibile come il tentativo inefficace e doloroso di defecare (tenesmo fecale) o urinare (tenesmo urinario).
La dischezia è la defecazione difficile o dolorosa che deriva da problemi anali o perianali.
I due sintomi spesso coesistono e si sovrappongono, rendendo difficile distinguerli tra loro, anche se la fondamentale differenza rimane quella che la dischezia è legata ai soli problemi anali e perineale, mentre il tenesmo può essere presente in caso di ostruzione, infiammazione o costipazione del grosso intestino. E' importante distinguere fra un tenesmo di origine intestinale da un tenesmo di origine urinaria. Molti gatti con problemi urinari assumono un atteggiamento che può essere confuso con una difficoltà a defecare. Le cause del tenesmo possono derivare da problemi a carico del grosso intestino (costipazione, colite, neoplasie, corpi estranei rettali o anali), della regione perineale o perianali (ernia perineale, fistole perianali, ascessi o tumori dei sacchi anali), dell'apparato genito-urinario (cistiti, uretriti, calcoli, prostatomegalia, neoplasie, corpi estranei vaginali, distocie) o del cavo addominale caudale (masse addominali, fratture pelviche, neoplasie pelviche). Il momento in cui appare il tenesmo può essere utile per differenziarne le cause; un tenesmo precedente la defecazione può suggerire costipazione, mentre un tenesmo successivo alla defecazione può essere secondario ad irritazione. La conformazione e l'aspetto delle feci forniscono ulteriori indicazioni, per la possibile presenza di sangue, indice di irritazione o di neoplasie, o per l'aspetto nastriforme che in genere è conseguente a stenosi, causate da compressioni extraluminali (linfonodi, prostata) o intraluminali (stenosi, neoplasie).
Con l'esclusione delle fistole perineale, causa di dischezia, in genere tipiche del Pastore tedesco, non ci sono particolari predisposizioni di razza o sesso. Il procedimento clinico e diagnostico ricalca quello già descritto per la costipazione.

Incontinenza fecale
L'incontinenza fecale è definibile come l'incapacità di trattenere le feci e i gas legata ad una disfunzione degli sfinteri anali interno ed esterno.
In effetti si possono distinguere due tipi di incontinenza, una legata appunto alla disfunzione degli sfinteri che porta all'incapacità di prevenire la perdita involontaria delle feci, mentre un'altra è legata alla perdita di capacità di accumulo del grosso intestino.
La perdita della capacità di accumulare le feci può conseguire a disturbi del piccolo intestino o del colon retto, con conseguenti irritazione, incapacità di accumulo e di adattamento, aumento del volume fecale o disturbi della motilità, inibizione della capacità di rilassare volontariamente lo sfintere anale esterno. L'animale però mantiene la consapevolezza dello stimolo e dell'atto della defecazione.
L'incontinenza degli sfinteri, invece, è conseguente ad un disturbo neuromuscolare che sopprime la contrazione volontaria riflessa dello sfintere anale esterno, la reazione di continenza. Il danno deriva da un problema muscolare (muscoli sfintere anale esterno e interno, elevatore dell'ano, coccigeo) o nervoso (n.pudendo o midollo spinale sacrale) o da traumi o alterazioni dei tessuti della regione perianali. Questi animali hanno perso la consapevolezza dello stimolo e dell'atto della defecazione. Nell'anamnesi saranno presi in considerazione la consapevolezza dell'atto della defecazione, problemi dietetici, ortopedici o chirurgici precedenti, così come traumi.

Il segnalamento è importante, perché i giovani più frequentemente hanno problemi congeniti, quali malformazioni vertebrali, mentre gli anziani più facilmente presentano disturbi legati a neoplasie o a esiti di traumi o interventi chirurgici. Nei soggetti di grossa taglia sono spesso chiamate in causa la stenosi lombosacrale degenerativa o la mielopatia degenerativa. Oltre al consueto esame clinico generale, è importante una valutazione locale visiva e digitale, cercando di valutare il tono dello sfintere, il tono della coda e le condizioni dell'apparato urinario, in quanto le vie nervose che regolano la continenza fecale sono le stesse che regolano la continenza urinaria. E' necessaria una valutazione neurologica degli arti pelvici, cercando segni di parestesie o iperestesie che possano sostenere l'ipotesi di una stenosi lombosacrale, come anche iporeflessia legata a possibile neuromiopatie. La diagnosi può essere perfezionata con esami endoscopici, di diagnostica per immagini o elettromiografici, secondo il sospetto clinico.

ESAME REGIONALE

Bocca e ghiandole salivari
Tartaro: si tratta di una concrezione minerale, che si deposita sul colletto dentario e si espande verso la corona e nello spazio periodontale, partendo da una matrice proteica rappresentata dai residui alimentari che normalmente ristagnano negli spazi periodontali. I fattori che favoriscono la formazione del tartaro sono rappresentati dalla razza, dal tipo di dieta, particolarmente molle e quindi inadatta ad effettuare una pulizia meccanica del dente, da affezioni parodontali, dalla composizione chimica della saliva. La localizzazione prevalente del tartaro è a carico dell'arcata inferiore, alla base dei canini e dei premolari, e sul IV PM e I M superiore, in corrispondenza dello sbocco del dotto di Stenone. L'aspetto è quello di una patina gialla brunastra, di spessore variabile e consistenza minerale, saldamente attaccata al colletto dentario. Spesso il problema è associato ad alitosi, soprattutto nelle forme più gravi, e costituisce un pericolo per la solidità del dente, oltre che rappresentare un focolaio di infezione latente che può dar luogo a pericolose disseminazioni batteriche (es. endocarditi).
Corpi estranei: sono più frequenti nel cane e sono costituiti in genere da ossa, frammenti di legno o parti vegetali (es. reste di graminacee) che possono infiggersi nella mucosa o fra le arcate dentarie superiori o fra i denti, così come nelle tasche tonsillari o nella faringe. Nel gatto non sono infrequenti corpi estranei filiformi (es. fili da cucito, festoni natalizi, fili da pesca), che possono rimanere agganciati alla base della lingua e proseguire nell'esofago. Determinano in genere scialorrea, disfagia, alitosi, conati. Palatoschisi, fistole oronasali: la palatoschisi è la presenza di una fissurazione nel palato, che determina una anomala comunicazione fra la bocca e le cavità nasali. Può interessare il palato primario (premascella e labbra) o quello secondario (palato duro e molle); in genere la palatoschisi a carico del palato primario è rara da sola, e più spesso è associata a palatoschisi del palato secondario. La palatoschisi del palato secondario può invece occorrere anche senza coinvolgimento del palato primario. Ne esiste una forma congenita, dovuta a mancata fusione delle ossa palatine durante lo sviluppo fetale, determinata da cause ereditarie (recessive), meccaniche, tossiche, metaboliche, ormonali. La forma congenita interessa maggiormente il cane rispetto al gatto, ed in particolar modo le razze canine brachicefale. Non sempre è tempestivamente riconosciuta; determina difficoltà di allattamento e conseguentemente ritardo nella crescita, rigurgito, oltre a sintomi di tipo respiratorio quali scolo nasale, starnuti, tosse, polmonite ab ingestis. La forma acquisita spesso consegue a traumi, soprattutto nel gatto (high rise sindrome), o a corpi estranei penetranti. La sintomatologia è analoga alla forma congenita. Le fistole oronasali sono comunicazioni patologiche, acquisite, fra il cavo orale e le cavità nasali, conseguenti a traumi, patologie dentali, neoplasie, interventi chirurgici, corpi estranei penetranti. La sintomatologia può essere costituita da disfagia, alitosi, starnuti, scolo nasale e rinite cronica. In entrambi i casi, la diagnosi è posta con un accurato esame clinico e ispezionando il cavo orale, meglio se con l'ausilio di una blanda sedazione che consenta anche l'esecuzione di eventuali esami radiografici. Una particolare forma di fistolizzazione è costituita dalla fistola odontopatica, che in genere si manifesta come un tragitto fistoloso presenta anteriormente all'occhio, e che proviene da un granuloma apicale o da un ascesso a carico della radice del IV PM sup.

Mucocele salivare (sialocele): è rappresentato da una raccolta di saliva in sedi pressoché costanti, determinata da una lesione, solitamente traumatica, a carico di una ghiandola salivare o del suo dotto escretore. In genere è definita cisti, ma in realtà non si tratta di una cisti, in quanto la parete non è ghiandolare secernente ma è costituita da una pseudocapsula di tessuto reattivo, sviluppatosi a seguito dell'azione irritativa della saliva sui tessuti circostanti. La localizzazione è determinata dalla resistenza dei tessuti circostanti, quindi la tendenza è a formarsi dove c'è più abbondanza di tessuto connettivo lasso, e cioè nell'area cervicale craniale, nella regione intermandibolare, nella regione faringea e in sede sottoliguale (la più frequente).
La sintomatologia è legata alla localizzazione ed alle dimensioni della formazione. In genere i soggetti colpiti (maggiormente i cani rispetto ai gatti e maggiormente i maschi) sono asintomatici, e presentano una tumefazione indolente, molle e fluttuante, in una delle sedi descritte. La localizzazione destra o sinistra non è sempre agevole; per facilitare questa distinzione è utile porre il soggetto in decubito dorsale, e la tumefazione si disporrà nella posizione corretta. Nella localizzazione sublinguale si può avere disfagia e sanguinamento, mentre nella localizzazione faringea, se la massa è voluminosa, si può osservare anche dispnea. La localizzazione zigomatica può avere ripercussioni sull'occhio, con esoftalmo e disturbi da compressione della periorbita (neuropatia ottica).
La diagnosi può essere definita attraverso una centesi, dalla quale in genere fuoriesce un liquido vischioso, citrino o lievemente emorragico, talvolta marrone scuro. La diagnostica per immagini può utilizzare una sialografia od un'ecografia, ma in genere è scarsamente utile. Si impone la diagnosi differenziale con una neoplasia o con una flogosi (sialoadenite) o con una tumefazione linfonodale, attraverso un esame citologico e/o istologico. Fratture mandibolari: sono più frequenti nel gatto, talvolta associate a palatoschisi, in conseguenza di cadute o di incidenti stradali. La sintomatologia è costituita da scialorrea, disfagia, difficoltà o impossibilità alla prensione degli alimenti ed alla chiusura della bocca, sanguinamento; in genere sono accompagnate da forte dolore alle manipolazioni anche delicate. All'ispezione del cavo orale si nota il movimento preternaturale della parte fratturata, con possibilità di abnorme dislocazione laterale delle branche della mandibola, asimmetria dentale, possibili ferite lacere conseguenti al trauma stesso o all'azione dei frammenti ossei. Nelle fratture bilaterali la parte rostrale è tenuta pendula. Nelle diastasi della sinfisi la sintomatologia può essere anche minima. La diagnosi clinica deve trovare conferma e definizione nell'esame radiografico. Lussazione mandibolare: di origine traumatica, può essere mono o bilaterale. Clinicamente si nota scialorrea, impossibilità alla prensione degli alimenti ed alla chiusura della bocca. Nelle lussazioni bilaterali la bocca è tenuta semiaperta; nelle lussazioni monolaterali si nota deviazione della mandibola, in genere dal lato opposto a quello della deviazione. Il tentativo di chiudere la bocca è in genere ostacolato e doloroso, e evidenzia l'asimmetria dell'occlusione dentale.

Una particolare forma di lussazione è quella conseguente alla dislocazione del processo coronoideo sotto l'arcata zigomatica. Nella normale occlusione, il processo coronoideo si inserisce all'interno dell'arcata stessa; può accadere che il processo entri in conflitto ventrale con l'arcata, o che addirittura si dislochi all'esterno di questa. In entrambi i casi la chiusura della bocca è impedita.
La diagnosi clinica deve trovare conferma e definizione nell'esame radiografico. Neoplasie: i tumori del cavo orale sono relativamente frequenti nel cane e nel gatto.

Fra i tumori benigni sono segnalati epulidi e papillomi (più comuni), fibromi, lipomi, osteomi, condromi, istiocitomi ed emangiopericitomi. I papillomi si presentano come piccole masse peduncolate, di colore pallido, a superficie irregolare, rugosa, che si diffondono rapidamente. Negli stadi avanzati appaiono grigiastri e maggiormente irregolari. In genere risolvono spontaneamente nell'arco di alcune settimane. Le epulidi prendono origine dal tessuto periodontale; più frequentemente sono localizzate alla base degli incisivi. La classificazione istologica delle epulidi le distingue in:
1. epulidi fibrose o fibromatose: si presentano peduncolate, in genere non ulcerate e scarsamente invasive
2. epulidi ossificanti: hanno caratteristiche simili alle precedenti
3. epulidi squamose o acantomatose: hanno tendenza all'invasione locale, con possibile distruzione del tessuto osseo sottostante, ma non metastatizzano. Sono state definite anche adamantinomi, ma più propriamente sarebbero da definirsi ameloblastomi acantomatosi.

Fra i tumori maligni i più frequenti sono costituiti da:

1. melanoma: cresce ed invade rapidamente gengiva e osso. Può essere sessile o peduncolato, di colore in genere scuro, anche se non mancano casi di melanomi non pigmentati. In piccola percentuale sono benigni, ma la gravità del tumore deve far considerare tutti i casi come maligni. I melanomi della giunzione mucocutanea sono tutti maligni.

2. carcinoma squamocellulare: in genere si presenta come una lesione erosiva, ulcerata, localizzata al lato mesiale del canino (cane) o alla base della lingua (gatto), che si espande nei tessuti molli mucosali e muscolari e nell'osso (comune nel cane), con facile metastatizzazione ai linfonodi regionali. La metastatizzazione polmonare è più rara e tardiva.

3. fibrosarcoma: l'aspetto è quello di un nodulo duro, immobile, liscio, con nodulazioni che possono ulcerarsi, localizzato nella parte laterale dell'arcata mandibolare. In genere è localmente molto invasivo, con elevata possibilità di recidiva, ma scarsa capacità di dare metastasi. Il comportamento locale è però fortemente aggressivo e maligno e come tale deve essere affrontato.
I segni clinici sono generici e comuni alle masse endorali, con scialorrea, disfagia, alitosi, possibili emorragie, anche in funzione delle dimensioni e delle caratteristiche di superficie delle masse. La diagnosi è posta sulla base dell'esame istologico di un campione bioptico, associato ad un esame cito/istologico dei linfonodi regionali. L'iter diagnostico deve essere completato da un esame ematobiochimico, da un esame radiografico completo del torace e, se possibile, da un esame TC del cranio. La raccolta di questi dati consente la stadiazione clinica del tumore orale.

Esofago
I disturbi esofagei in genere costituiscono un problema di facile individuazione, in quanto i segni clinici sono facilmente identificabili anche dal proprietario, e sono in genere costituiti da disfagia, rigurgito, odinofagia, continue deglutizioni e abbondante produzione di saliva. Il segno clinico più comune è comunque costituito dal rigurgito; questo può conseguire anche ad un'esofagite secondaria ad un reflusso gastrico da vomito cronico.

Disfagia crico-faringea: si tratta di un disturbo neuromuscolare piuttosto raro, che consiste in un difetto congenito di coordinazione del riflesso di deglutizione. Ci può essere un mancato rilassamento dello sfintere esofageo craniale (acalasia crico-faringea) oppure una mancata coordinazione fra la contrazione peristaltica faringea ed il rilassamento dello sfintere stesso. Come altri problemi congeniti, si manifesta in occasione dello svezzamento, con sintomi generici di disfagia, tosse, rigurgito, gagging. La diagnosi di sospetto è confermata da un esame radiografico con mdc, meglio si sotto controllo fluoroscopico, che possa mettere in evidenza l'asincronia dei movimenti peristaltici o la permanenza protratta del mdc nel faringe. In sede diagnostica possono essere anche eseguiti esami bioptici ed elettromiografici.

Esofagite: rappresenta una flogosi acuta o cronica della mucosa
esofagea, con possibile interessamento anche della sottomucosa. Riconosce numerose cause, fra cui i corpi estranei ed il reflusso gastro-esofageo. Quest'ultimo, oltre che ad ernie iatali, alterazioni della motilità cardiale o vomito cronico, può essere legato al decubito durante l'anestesia o ad errori nel posizionamento di sonde rino o faringostomiche. Nelle forme lievi può anche essere asintomatica; forme più gravi determinano anoressia, disfagia, odinofagia, scialorrea, rigurgito, con possibile perdita di peso o cachessia nelle forme più cronicizzate. La diagnosi può essere effettuata con un esame contrastografico, per mettere in evidenza alterazioni della parete, del calibro o della motilità esofagea; l'esame più adeguato però è l'esame endoscopico, con il quale si può esaminare accuratamente lo stato della mucosa e, nei casi dubbi, procedere ad un campionamento bioptico. È importante la valutazione del tratto terminale dell'esofago e dello sfintere esofageo caudale, così come dell'eventuale presenza di dilatazioni che possano indicare la presenza di un'ernia iatale, che sono suggestive di un'esofagite da reflusso. Ostruzioni: sono riduzioni parziali o totali del lume esofageo conseguenti a problemi extraluminali, intraparietali o intraluminali. Hanno segni clinici piuttosto comuni e possono essere legate a:
o corpi estranei: sono più comuni nel cane rispetto al gatto, e di solito sono localizzati in settori fissi, dove la dilatazione esofagea è limitata da fattori anatomici esterni: entrata del torace, base del cuore, iato diaframmatico. I più comuni corpi estranei sono rappresentati da ossa, ami da pesca, frammenti di legno, pezzi di giocattoli, fili (spesso intrappolati sotto la lingua e già arrivati allo stomaco o all'intestino). L'irritazione iniziale determina esofagismo, con edema mucosale e spasmo muscolare che intrappolano ulteriormente il corpo estraneo impedendone ulteriormente la progressione ad opera della peristalsi. Successivamente, sia per azione distrofica che meccanica sulla parete si può arrivare ad abrasioni, ulcere o perforazioni con mediastinite e possibile rottura dei grossi vasi. La sintomatologia clinica dipende dalla gravità dell'ostruzione e dalla sua durata. Se l'ostruzione è grave si osservano disfagia, rigurgito, odinofagia, gagging, scialorrea. Un'ostruzione limitata è di più difficile riconoscimento e può determinare una sintomatologia vaga e subdola che può perdurare molti giorni prima di rendersi riconoscibile.

L'anamnesi può essere d'aiuto, cercando di identificare un rilievo diretto dell'ingestione del corpo estraneo o la mancanza di oggetti di uso comune che possano essere stati ingeriti. L'esame clinico fornisce riscontri variabili in funzione della gravità del quadro. I corpi estranei presenti nell'esofago cervicale possono essere palpati, mentre quelli nell'esofago toracico sono sospettabili per i segni descritti in precedenza. Quadri di anoressia, febbre, odinofagia, depressione e tosse possono far sospettare un coinvolgimento polmonare (polmonite ab ingestis) o mediastinico. Il leucogramma in questi casi mostra una leucocitosi con segni di infezione. La diagnosi è completata con un esame radiografico, eventualmente integrato con un mdc, che può essere bario o, nel caso si sospetti una perforazione, iodato. Un'ulteriore indagine, che può avere nel contempo anche un impiego terapeutico, è rappresentata dall'esofagoscopia con sonda flessibile o rigida.
o stenosi: sono riduzioni circolari anormali del lume esofageo, che inducono un'ostruzione parziale o totale, in genere in conseguenza di una grave esofagite, secondaria ad irritazione diretta (da reflusso gastrico, caustici, corpi estranei ecc.) o a chirurgia esofagea. La progressione dell'irritazione mucosale nello strato muscolare induce la formazione di una cicatrice fibrosa, che nella fase di maturazione di contrae determinando la stenosi (1-3 settimane). La stenosi determina un'alterazione della peristalsi, con ostruzione al passaggio del cibo e conseguente accumulo, distensione del tratto prossimale, alterazione della funzione neuromuscolare e conseguente diminuzione della peristalsi. A differenza dei corpi estranei, non hanno una localizzazione precisa ma possono essere presenti in qualunque segmento esofageo.

I segni clinici sono analoghi a quelli visti per i corpi estranei, anche se in genere il passaggio dei liquidi e dei cibi fluidi è più agevole. Nel tempo i segni tendono a peggiorare, con perdita di peso ed incremento dell'appetito.
La diagnosi è radiografica con l'ausilio di un mdc. Some per i corpi estranei, un'ulteriore indagine, che può avere nel contempo anche un impiego terapeutico, è rappresentata dall'esofagoscopia con sonda flessibile o rigida. L'endoscopia consente inoltre di distinguere stenosi di natura benigna da stenosi di natura maligna attraverso una biopsia mucosale od una citologia esfoliativa.
o neoplasie: sono piuttosto rare (<0,5%), e sono rappresentate principalmente da forme primarie (sarcomi, carcinoma squamoso, leiomiomi, leiomiosarcomi) e secondarie, in genere per interessamento di strutture circostanti (linfonodi, tiroide, timo, tumori della base del cuore) o metastatiche (carcinomi). I sarcomi (fibro ed osteo) sono in genere conseguenza della trasformazione maligna di granulomi esofagei da Spirocerca lupi.
I segni clinici sono quelli comuni alle stenosi ed ai corpi estranei, in genere più lenti e progressivi nella loro insorgenza.

La diagnosi, oltre che sul sospetto anamnestico, si basa su esami radiografici con mdc e su esami endoscopici, durante i quali si devono eseguire campionamenti bioptici mucosali (difficoltosi per la resistenza della mucosa e per la difficoltà di posizionare perpendicolarmente la pinza bioptica) accompagnati da una citologia esfoliativa.

o anomalie degli anelli vascolari: sono malformazioni congenite dei grossi vasi cardiaci e dei loro rami che intrappolano l'esofago toracico determinandone l'ostruzione. Se ne distinguono 7 forme. La forma più comune (95%) è la persistenza del 4° arco aortico di destra. L'origine dell'aorta dal 4° arco dx invece del sx fa sì che il legamento arterioso si disponga a cavallo dell'esofago, che si trova quindi costretto fra il legamento stesso, l'aorta e l'arteria polmonare. E' una malformazione più comune nel cane, segnalata con maggiore frequenza nel Pastore tedesco, nel Setter irlandese e nel Boston terrier, nel gatto nel Persiano e nel Siamese, senza predilezione di sesso.
La sintomatologia clinica è rappresentata dal rigurgito allo svezzamento, per la difficoltà dell'alimento solido a passare attraverso la stenosi. Nel tempo si osserva ritardo nell'accrescimento con incremento dell'appetito. La presenza di tosse, dispnea e febbre devono far sospettare una polmonite ab ingestis secondaria.

La diagnosi è fatta radiograficamente somministrando un mdc, che si ferma alla base del cuore. Un'esofagoscopia può essere utile per differenziare questo problema da altre forme di stenosi. Può essere indicato anche un esame ecocardiografico, per valutare la compresenza di altre anomalie cardiache o la contemporanea pervietà del legamento arterioso. Si impone sempre una diagnosi differenziale con il megaesofago congenito (generalmente la dilatazione è diffusa a tutto l'esofago), la disfagia cricofaringea o i corpi estranei esofagei.
Diverticoli esofagei: si tratta di una patologia piuttosto rara, di natura congenita o acquisita, che consiste nella formazione di dilatazioni sacciformi legate all'erniazione della mucosa attraverso la tonaca muscolare. Le forme acquisite sono distinte secondo l'origine in forme da pulsione, dove l'ernia è causata dall'esagerata pressione endoluminale (in genere in corso di ostruzione o di alterazioni della motilità), e in forme da trazione, secondarie ad aderenze formatesi per lesioni esterne. L'accumulo di ingesta nel diverticolo (impattazione) induce esofagite, ostruzione e alterazioni della motilità.
I segni clinici sono lievi o assenti nei diverticoli di piccole dimensioni; quelli più voluminosi determinano la sintomatologia tipica delle ostruzioni, con tosse, odinofagia, rigurgito. Nei casi più gravi si può assistere anche all'ulcerazione della mucosa con perforazione della parete e conseguente mediastinite. La diagnosi si raggiunge con un esame radiografico con mdc, che svela la dilatazione sacciforme, localizzata; questa non va confusa con la normale ridondanza che l'esofago presenta nelle razze brachicefaliche e negli Shar Pei. Anche un esame endoscopico può essere utile per un'ulteriore caratterizzazione della lesione.

Fistole esofagee: si tratta di una comunicazione anomala dell'esofago
con la trachea (fistola esofago-tracheale), i bronchi (fistola esofagobronchiale) od il parenchima polmonare (fistola esofago-polmonare). Si tratta di una lesione poco comune nel cane e nel gatto. Le forme acquisite sono le più comuni, anche se sono state descritte forme congenite; le forme acquisite sono secondarie a traumi, comunque indotti, neoplasie o flogosi periesofagee. La causa più frequente è rappresentata dai corpi estranei penetranti, che inducono la fuoriuscita di ingesta e, attraverso la reazione tissutale, la formazione della fistolizzazione.
Ne consegue che la sintomatologia è prevalentemente respiratoria, con tosse e dispnea, che si manifestano prevalentemente a seguito dell'assunzione di sostanze liquide, ma anche anoressia, letargia, perdita di peso e febbre (nelle mediastinite) e rumori polmonari (nella polmonite ab ingestis). La diagnosi è raggiunta con un esame radiografico in bianco e con mdc, dove si possono notare le alterazioni polmonari e la presenza della fistola.
Ernia iatale: è la protrusione dell'esofago addominale, del cardias, e talvolta del fondo dello stomaco, attraverso lo iato esofageo, nel mediastino, cranialmente al diaframma.

Fisiopatologia del cardias
Il cardias è la valvola posta tra la parte terminale dell'esofago ed il fondo gastrico, in sede quindi addominale, che ha funzione di mantenere chiuso lo stomaco ed impedire il reflusso acido verso l'esofago. Il cardias si apre, seguendo le onde peristaltiche esofagee, all'arrivo del bolo nel tratto caudale dell'esofago.
Esistono anche alcuni fattori meccanici di prevenzione del reflusso gastroesofageo, che consistono in:
o azione delimitante del pilastro diaframmatico destro o effetto a valvola dell'angolo acuto fra esofago e cardias o effetto a valvola conseguente all'apposizione delle pliche dell'esofago distale o posizione intraddominale dell'ultimo tratto esofageo Ci sono due forme principali di ernia iatale. La più comune è rappresentata dall'ernia iatale assiale o per scivolamento dell'esofago distale e dello stomaco a fianco dell'esofago stesso, attraverso lo iato esofageo, nel mediastino craniale. Una forma meno frequente è rappresentata dell'ernia iatale periesofagea, costituita dalla dislocazione di una porzione esofagea nel mediastino attraverso un difetto adiacente allo iato esofageo. Si possono avere poi combinazioni delle due o forme di invaginamento gastroesofageo. La prima forma può essere sia congenita che acquisita. La forma congenita consegue a dilatazione iatale con lassità dei legamenti gastroesofagei. Questa forma sembra colpire più i maschi ed in particolare gli Shar Pei. La forma acquisita può essere secondaria a traumi, che possono indurre lesioni neuromuscolari con conseguente lassità iatale, o a di stress respiratorio, che induce l'ernia attraverso un incremento della pressione negativa intratoracica. A prescindere dalle cause congenite o acquisite, la riduzione della pressione sullo sfintere gastroesofageo induce reflusso gastroesofageo, con conseguente esofagite e megaesofago e comparsa dei segni clinici, rappresentati prevalentemente da rigurgito, vomito, ematemesi e ipersalivazione. Nelle forme croniche si osserva perdita di peso, mentre le forme gravi di ernia possono determinare compressione grave sui polmoni o polmonite ab ingestis. La diagnosi è radiografica; spesso sono necessarie più sedute perché la malattia può essere intermittente (soprattutto le ernie assiali). L'esame è condotto in bianco e con mdc, e svela alterazioni esofagee vicine al diaframma, oltre ai segni eventuali di megaesofago e polmonite. Può essere utile anche un esame fluoroscopico ed esofagoscopico, per valutare meglio la presenza di reflusso, il grado di esofagite e l'eventuale stenosi presente. L'invaginamento gastroesofageo è considerato da alcuni una forma di ernia iatale. Si presenta raramente, soprattutto in animali giovani con megaesofago o incompetenza del meccanismo gastroesofageo, con insorgenza acuta di rigurgito, vomito, dispnea, ematemesi, addome teso, rapido deperimento fino a morte in 1-3 giorni. La sintomatologia è più acuta perché può verificarsi lo strangolamento dello stomaco con stiramento del mesogastrio ed esofagite grave; potenzialmente ne consegue un collasso cardiocircolatorio per ostruzione del ritorno venoso. La sintomatologia può essere confusa con quella della polmonite ab ingestis, dalla quale va prontamente differenziato. Costituisce quindi un'emergenza, in quanto la diagnosi è difficile. Le cause sono sconosciute; può verificarsi a seguito di un'ernia diaframmatica.

Stomaco

Fisiopatologia
La principale funzione dello stomaco è quella di contenitore che regola quantità e passaggio del cibo ingerito nell'intestino. Durante la permanenza del cibo al suo interno, lo stomaco da inizio alla digestione delle proteine e dei grassi, e facilita l'assorbimento di vitamine e sali minerali. Dal punto di vista anatomico lo stomaco è diviso in 4 porzioni: cardias, fondo, corpo e antro pilorico. Fondo e corpo hanno grande capacità dilatativa, e contengono le ingesta, mentre l'antro, a parete muscolare spessa e robusta, provvede a triturare in minute particelle il cibo che deve passare attraverso lo sfintere pilorico, che agisce da regolatore, verso il duodeno. Lo sfintere esofageo caudale, o cardias, agisce prevenendo il reflusso del materiale acido contenuto nello stomaco verso l'esofago. La parete gastrica è composta da 3 strati: sierosa, muscolare e mucosa. La mucosa è spessa, fortemente plicata e ricca di ghiandole nel fondo e nel corpo, mentre appare più sottile e meno ghiandolare nel cardias e nell'antro pilorico.
La normale motilità gastrica è il risultato dell'interazione della componente muscolare con gli stimoli neurali e ormonali. Lo svuotamento gastrico è condizionato dalla differenza di pressione gastroduodenale e dalla resistenza offerta dal piloro, oltre che dalla composizione chimica e dalla densità calorica degli alimenti.
In generale, i disturbi gastrici sono il risultato di flogosi, ulcere, neoplasie o ostruzioni, e si manifestano con un corteo sintomatologico piuttosto costante rappresentato da vomito, ematemesi, melena, conati, eruttazione, ipersalivazione, distensione addominale, dolore addominale o perdita di peso. L'approccio clinico può risultare più semplice raggruppando le varie patologie in sindromi cliniche, considerando eziologia, patogenesi e manifestazioni cliniche. L'approccio semeiologico sistematico e rigoroso è essenziale ai fini della diagnosi, ed è basato su segnalamento e anamnesi, tests clinicopatologici e diagnostica per immagini.
Segnalamento, anamnesi ed esame fisico: il segnalamento è utile nella diagnosi di alcuni problemi gastrici, quali per esempio i corpi estranei, più frequenti nel giovane, o la sindrome da dilatazione/torsione gastrica, più frequente nei soggetti di taglia grande e gigante a torace carenato, o i tumori, più frequenti in età adulta e anziana, o la predisposizione di alcune razze a specifiche patologie.

Il vomito è uno dei segni principali di problema gastrico, che va differenziato dal rigurgito e va studiato anamnesticamente per quanto riguarda durata, frequenza, contenuto, colore, evoluzione, relazione con l'assunzione di cibo. Potrebbe essere utile anche osservare l'animale durante l'assunzione del cibo e, quando possibile, anche durante un episodio di vomito (eventuale filmato). Nel dubbio diagnostico fra vomito e rigurgito si può anche ricorrere ad un esame radiografico, per escludere una dilatazione od una ostruzione esofagee. L'anamnesi ambientale, per quanto riguarda attitudine, stile di vita, possibilità di accesso a corpi estranei, farmaci, così come l'anamnesi vaccinale e sanitaria rivestono analoga importanza.
L'esame fisico deve sempre essere generale, per mettere in evidenza segni di problemi sistemici primitivi o ripercussioni sistemiche del problema gastrico. La presenza di dilatazione addominale, potendo essere indice di sindrome da dilatazione/volvolo gastrico, deve sempre essere guardata con estrema attenzione e tempestività. L'ematemesi, accompagnata o meno da melena, aumenta il sospetto di erosioni o ulcere gastriche. Un vomito molto distanziato dall'assunzione di cibo (>8h) può indirizzare verso disturbi dello svuotamento gastrico, dia per inerzia che per ostruzione.
Tests clinico patologici: per l'identificazione dei tests più idonei e la loro interpretazione si rimanda ai corsi di medicina interna e diagnostica di laboratorio.

Diagnostica per immagini: l'esame radiografico è sicuramente il più efficace mezzo diagnostico nello studio iniziale dei disturbi gastrici con vomito e dolore addominale, fornendo indicazioni sulla posizione, sul contenuto e sull'eventuale dilatazione gastrica, e dando indicazioni nel contempo sullo stato degli altri organi addominali e sul peritoneo. L'impiego di mdc può fornire informazioni ulteriori, ma in genere ha un'indicazione più funzionale, cioè indirizzata a evidenziare disturbi del transito e dello svuotamento, in quanto ecografia ed endoscopia sono molto più efficaci nella diagnosi dei problemi infiammatori, ostruttivi o neoplastici. Inoltre l'introduzione di un mdc baritato impone di dilazionare l'esame eco o endoscopico al termine dello svuotamento del tubo digerente, con potenziale pericolosa perdita di tempo. L'endoscopia è utilissima in quanto consente una visualizzazione diretta del problema, oltre all'esecuzione di biopsie (almeno 3 per regione gastrica), che devono sempre essere fatte durante l'esame gastroduodenoscopico per caratterizzare meglio il problema, e ancora la rimozione di piccoli corpi estranei. Occorre ricordare che le biopsie ottenibili per via endoscopica sono comunque superficiali, e difficilmente oltrepassano la mucosa, per cui maggiori informazioni devono essere ottenute attraverso biopsie per via laparoscopica o laparotomica.

Gastrite acuta, gastrite cronica, erosioni ed ulcere gastriche: sono patologie di pertinenza della medicina interna, cui si rimanda.
Sindrome da dilatazione/torsione gastrica (GDV): questa sindrome è
caratterizzata dall'abnorme dilatazione dello stomaco, che si riempie di aria, associata o meno a rotazione sul proprio asse mesenterico. Si tratta di una patologia ad insorgenza acuta, con un tasso di mortalità elevato (dal 30 al 45% dei soggetti nonostante il trattamento). Sono riconosciute delle cause predisponenti, quali un certo grado di atonia gastrica, la lassità (congenita o acquisita) dei mezzi di fissità dello stomaco (leg. epatogastrico ed epatoduodenale), il pilorospasmo ed alterazioni anatomiche, quali polipi o formazioni ulcerose vegetanti. Fra le cause determinanti sono indicati l'assunzione di pasti abbondanti in condizioni di astenia, o associati ad intensa attività fisica, strapazzi, affaticamenti, distress metabolico con rapida distensione dell'organo ipotonico. Ci sono poi dei fattori significativamente associati all'aumento del rischio di GDV, quali l'età avanzata, un parente di primo grado con anamnesi di GDV, l'assunzione di un solo pasto al giorno e una ciotola in posizione elevata, che predispone all'aerofagia. La dilatazione gastrica conseguente all'accumulo di gas per aerofagia o fermentazioni batteriche, con impossibilità di eruttazione o di progressione dell'aria nell'intestino, può costituire il primo momento del problema.

Patogenesi della GDV
La torsione in genere si avvera in senso orario, e può variare da 90° a 270°-360° (volvolo). In senso antiorario è rara, e in genere non supera i 90°. Insieme allo stomaco può torcersi anche la milza. Inizialmente la dilatazione porta ad un'inefficacia dei sistemi difensivi dell'organo, eruttazione, vomito e svuotamento pilorico, cui segue la possibilità di torsione. La torsione determina l'occlusione dei vasi, inizialmente venosi e successivamente arteriosi, determinando un'ischemia grave della parete gastrica, con riduzione della tensione di 02 (sperimentalmente si è visto che scende fino al 92%); la sola mucosa gastrica richiede circa l'80% del flusso ematico, per cui risente immediatamente e gravemente del danno ischemico. L'ischemia induce un aumento della pressione transmurale, con ostruzione dell'efflusso venoso, possibilità di infarti microvascolari, edema gastrico e conseguente riduzione della gittata cardiaca, con conseguente diminuzione della pressione arteriosa e della per fusione gastrica. Con la torsione si può avere anche l'avulsione o l'infarto delle arterie gastriche ed apiploiche in corrispondenza della grande curvatura. La pressione intragastrica elevata induce stasi venosa e congestione, con ulteriore ostacolo al flusso sanguigno. Gli infarti microvascolari che si verificano comunemente in corso di ischemia, conseguenti all'accumulo ed alla marginalizzazione dei neutrofili, inducono trombosi per stasi vascolare e danno endoteliale, con conseguente attivazione della cascata della coagulazione e coagulazione intravascolare disseminata (CID).

Il danno gastrico conseguente alla GDV è legato all'acidità gastrica ed al danno da riperfusione, che inducono alterazioni parietali che vanno dal semplice edema alla necrosi parietale (10% dei casi).

Meccanismo del danno da riperfusione (reperfusion injury): l'ischemia induce una deplezione dell'ATP cellulare, che degradato induce accumulo di ipoxantina. Si accumulano ioni Ca++ con attivazione delle proteasi, e conversione della xantina deidrogenasi in xantina ossidasi. Al momento della riperfusione della parte ischemizzata e la nuova disponibilità di O2, l'ossidazione dell'ipoxantina determina la formazione di radicali superossido che operano la per ossidazione lipidica inducendo danni degli acidi nucleici, aumento della permeabilità capillare e aumento della produzione di prostaglandine con morte cellulare.

Il complesso di alterazioni legate alla GDV è riassunto nella tabella allegata. La sintomatologia della GDV può essere rappresentata da rigurgito inefficace, scialorrea, dilatazione addominale, dispnea, debolezza e collasso nei casi più gravi. La percussione svela un addome timpanico, soprattutto nei quadranti anteriori; coesistono tachicardia e pallore delle mucose, prolungamento del tempo di riempimento capillare, come anche aritmie ventricolari. Successivamente, se lo stato di shock si aggrava, si va incontro ad ipotermia, depressione e coma.

Un esame radiografico svela l'abnorme presenza di aria nello stomaco, che nel volvolo assume un aspetto "a clessidra" o a "braccio di Popeye". In caso di rottura si possono evidenziare i segni dello pneumoperitoneo. Molta attenzione va data ai rilievi di laboratorio, soprattutto per quanto riguarda gli squilibri idroelettrolitici e le alterazioni della coagulazione.

Ostruzione pilorica: costituisce una delle cause di ritardato svuotamento gastrico. Ne esistono numerose altre la cui pertinenza è della medicina interna a cui si rimanda.

Il vomito è il segno clinico predominante, ed in genere insorge a più di 8 ore dall'assunzione del cibo. Nella stenosi pilorica può essere un vomito "a getto". Altri segni quali distensione addominale, perdita di peso, melena, dolorabilità, accumulo di gas e liquidi sono irregolari e meno frequenti. L'insorgere di questi segni allo svezzamento è suggestivo di una stenosi pilorica congenita. Soggetti di piccola taglia, di media età, brachicefali, sono predisposti ad una pilorogastropatia ipertrofica, dove il vomito è legato ad una ipertrofia della tonaca mucosa o muscolare. Altre cause di ostruzione possono essere rappresentate da tumori o corpi estranei o stenosi cicatriziali. L'ipertrofia pilorica (pilorogastropatia ipertrofica) è distinta in una forma congenita, più frequente in cani brachicefali e nei siamesi, con ipertrofia dello strato muscolare circolare e comparsa dei sintomi allo svezzamento, ed in una forma acquisita, sempre più frequente in soggetti di piccola taglia, adulti (barboncino, Shi-tzu, pechinese, maltese), prevalentemente maschi (M:F 2:1), che presentano lesioni focali o multiple polipoidi a carico della mucosa. La sintomatologia è costituita dal vomito, che se a getto è suggestivo di ostruzione totale, se intermittente di ostruzione parziale. Ne può conseguire uno squilibrio idro-elettrolitico anche grave, in funzione del grado di ostruzione, della durata del problema e dell'età dell'animale. L'approccio diagnostico è indirizzato a distinguere le cause ostruttive, che richiedono una terapia chirurgica, dalle cause non gastriche che inducono difetti della peristalsi. Oltre ai rilievi di laboratorio, è fondamentale la diagnostica per immagini, per documentare la persistenza del cibo oltre le 8h e la presenza di eventuali alterazioni addominali. Radio ed ecografia possono evidenziare la presenza di corpi estranei o alterazioni parietali, ma l'endoscopia è considerata il metodo di scelta per confermare l'ostruzione e documentare anche lo stato della parete gastrica.

Neoplasie gastriche: sono piuttosto infrequenti, rappresentando meno dell'1% dei tumori canini e felini; la maggior parte sono di natura maligna, e colpiscono con prevalenza il sesso maschile, con l'eccezione degli adenomi. o Tumori benigni: il più frequente è il leiomioma, tipico del cane anziano al punto da costituire spesso un solo rilievo autoptico. I polipi adenomatosi, rari, sessili o peduncolati, singoli o multipli, sono a localizzazione prevalentemente pilorica; sono spesso rilievi incidentali, ma talvolta possono rendersi responsabili di sintomatologia clinica. o Tumori maligni: o Adenocarcinoma: è la forma maligna gastrica più comune del cane, mentre è raro nel gatto. Insorge prevalentemente in soggetti adulti e anziani, senza particolare predilezione di razza. La localizzazione più frequente è a livello della piccola curvatura e dell'antro pilorico, e determina lesioni anulari o stenosanti che facilmente danno metastasi ai linfonodi regionali, al fegato e al polmone. I carcinomi possono essere suddivisi in tre tipi morfologici di distribuzione: 1) lesioni non ulcerative diffusamente infiltrate; 2) placche ispessite, localizzate e sopraelevate, generalmente con ulcera centrale; 3) lesioni sopraelevate, polipoidi, sessili, aggettanti nel lume. Istologicamente se ne distinguono due tipi: uno diffuso, più comune, con cellule neoplastiche disseminate fra gli elementi stromali della parete, uno tubulare o intestinale caratterizzato da una struttura tubulare ghiandolare. o Linfosarcoma: è la forma più comune nel cane e nel gatto, e spesso coinvolge più segmenti del tratto intestinale. Nel cane origina nella sottomucosa, ed è distinto in una forma diffusa, più frequente, ed in una forma nodulare. Frequentemente determina coinvolgimento del fegato, dei linfonodi regionali, del piccolo intestino e del midollo osseo. L'invasione diffusa della parete gastrica, con possibili ulcere, può generare confusione con un adenocarcinoma. Il leiomiosarcoma è stato associato ad ipoglicemia paraneoplastica per la produzione di Insulin-like growth factors (IlGF). Nel gatto non è associato all'infezione da FeLV, ed è distinto in due forme, a grandi e piccole cellule, delle quali quella a piccole cellule è più frequentemente localizzata al tratto gastroenterico e presenta una prognosi migliore. Nel cane e nel gatto è stato osservato che il linfosarcoma è accompagnato o preceduto da una forma flogistica linfoplasmocitica, tanto da far ritenere l'enterite linfoplasmocitica uno stadio prelinfomatoso. o Leiomiosarcoma: anche questo è un tumore del cane anziano, a lenta evoluzione, che origina dalla muscolatura liscia, senza predilezione di razza e sesso. L'invasione della parete gastrica è spesso diffuso, con possibili ulcere, che possono generare confusione con un adenocarcinoma. Il leiomiosarcoma è stato associato ad ipoglicemia paraneoplastica per la produzione di IlGF. La sintomatologia clinica è genericamente rappresentata da vomito, perdita di peso, anoressia, diarrea, ematemesi e melena, eventuale anemia; in alcuni casi si può avere dolorabilità e distensione dell'addome. L'insorgenza, soprattutto nel caso del linfoma, è insidiosa e lentamente progressiva. La diagnostica per immagini può dare indicazioni sulla localizzazione e sulla natura della neoplasia, ma sono l'esame endoscopico e bioptico, condotti secondo le indicazioni precedentemente descritte, a fornire gli elementi essenziali per una diagnosi ed una prognosi.

Piccolo intestino
Il piccolo intestino svolge numerosissime funzioni biologiche, prime fra tutte quelle digestive, di assorbimento ed immunitarie. Origina dal piloro e termina alla valvola ileo-colica, ed è suddiviso anatomicamente in tre segmenti piuttosto arbitrari: il duodeno, il digiuno e l'ileo. La struttura parietale è costituita da 4 strati, mucosa, sottomucosa, muscolare (in 2 strati) e sierosa, con la tonaca mucosa particolarmente complessa proprio per le peculiari caratteristiche dell'attività intestinale. Grande parte delle patologie del piccolo intestino sono di competenza della medicina interna a cui si rimanda anche per gli aspetti di fisiopatologia. Saranno prese in considerazione solo le patologie suscettibili di trattamento chirurgico.

Ostruzione intestinale: rappresenta l'incapacità delle ingesta o dellesecrezioni intestinali di progredire in direzione aborale. Il tipo, lalocalizzazione e la durata dell'ostruzione condizionano la gravità del quadro clinico. Conoscere la classificazione delle ostruzioni aiuta a capirne i meccanismi eziopatogenetici e a formulare una diagnosi ed una prognosi più precise, oltre che a scegliere la terapia più opportuna. L'ostruzione può essere incompleta (o parziale) quando consente ancora il passaggio di liquidi e gas, mentre si definisce completa quando è impedito totalmente il passaggio attraverso il punto di ostruzione. Un'ostruzione intestinale ancora può essere definita alta, quando interessa il duodeno ed il digiuno prossimale, intermedia, quando interessa l'area mediodigiunale, bassa, quando coinvolge il digiuno distale, l'ileo e la giunzione ileo-colica. dal punto di vista delle modificazioni fisiopatologiche, l'ostruzione può ulteriormente essere distinta in meccanica semplice o per strangolamento. Nel primo caso la circolazione sanguigna è mantenuta, mentre nel secondo caso questa può risultare più o meno gravemente compromessa. o Ostruzione meccanica semplice: le cause dell'ostruzione meccanica semplice possono essere suddivise in intraluminali, intramurali ed extramurali o extraluminali.

Nei piccoli animali la più frequente causa di ostruzione è rappresentata da quella intraluminale, ad opera di corpi estranei; questo perché l'adito orofaringeo è molto più ampio di qualunque altra apertura presente lungo il tratto digerente, per cui corpi estranei anche di grosse dimensioni possono impegnare l'esofago e procedere fino a bloccarsi nei tratti intestinali a calibro inferiore. I corpi estranei di grosse dimensioni, rotondeggianti, determinano spesso un'ostruzione completa. Le formazioni polipoidi o i corpi estranei nastriformi invece determinano più spesso occlusioni parziali. Nel caso di corpi estranei nastriformi, sovente un capo si ferma alla base della lingua o nell'antro pilorico, mentre l'altro procede distalmente lungo l'intestino. I movimenti peristaltici fanno sì che questa progressione determini anche la plicatura della parete intestinale sul corpo estraneo stesso, con un aspetto impacchettato, a fisarmonica, dell'intestino e possibilità di lacerazioni del bordo mesenterico.

Le ostruzioni intramurali sono in genere conseguenza di neoplasie o di granulomi della parete. I tumori del piccolo intestino (adenocarcinoma, leiomioma, leiomiosarcoma, fibrosarcoma, linfosarcoma) invadono la parete muscolare e, oltre a ridurre il lume, riducono la plicabilità della parete limitandone l'estensibilità.

Le ostruzioni extraluminali possono essere determinate da aderenze postchirurgiche, anche se questa evenienza è rara nei piccoli animali (al contrario del cavallo e dell'uomo). Più frequentemente queste ostruzioni sono conseguenti a compressioni ad opera di neoformazioni a carico di altri organi (es. tumori o ascessi pancreatici), o ad ernie mesenteriche, diaframmatiche, ombelicali, inguinali.
L'ostruzione intraluminale meccanica determina la distensione, ad opera di liquidi e gas, del tratto di intestino prossimale (orale) rispetto all'ostruzione stessa. Questi liquidi sono formati sia dalle ingesta che dai liquidi prodotti e secreti nel tubo digerente (saliva, succo gastrico, succo intestinale, succo pancreatico, bile), che sarebbero poi riassorbiti nel tratto distale del tubo digerente. Anche l'assorbimento dell'acqua subisce una drastica riduzione in caso di ostruzione, sia per un difetto nel trasporto dei soluti che altera i gradienti pressori, sia per la congestione venosa secondaria. Nel contempo la secrezione locale è incrementata, sia per azione delle tossine batteriche, che per l'aumento della presenza di bile ed acidi grassi, o a causa dei prodotti dell'ischemia tissutale. I gas accumulati provengono sia dall'aria ingerita (70%) che dai gas prodotti nell'organismo (sia presenti in circolo - 70% - che prodotti nel lume intestinale - 30%).

L'aumento della pressione endoluminale conseguente all'ostruzione determina rapidamente edema e stasi capillare venosa, mentre l'afflusso arterioso resta mantenuto. L'aumento conseguente della pressione idrostatica conduce rapidamente ad edema della parete ed a trasudazione, non solo verso il versante intraluminale ma anche verso il versante peritoneale.

La risposta dell'intestino alla dilatazione è un aumento delle onde peristaltiche, che si arrestano a livello dell'ostruzione. la peristalsi a valle dell'ostruzione risulta quindi sensibilmente diminuita. La stasi che ne consegue porta ad un incremento della popolazione batterica; il rischio conseguente è quello legato al passaggio di batteri e tossine, attraverso la parete danneggiata da numerosi fattori, verso il torrente circolatorio o la cavità peritoneale.

La gravità dei segni clinici è spesso legata al grado di idratazione del paziente ed al suo equilibrio idroelettrolitico. Questi sono legati al grado di ostruzione, alla sua durata ed alla sua localizzazione nel tubo intestinale. Un'ostruzione alta determina in genere un vomito frequente, che insorge rapidamente dopo l'instaurarsi dell'ostruzione; un vomito profuso comporta una prognosi peggiore, anche perché viene persa una grande quantità di liquidi (saliva, succo gastrico e pancreatico, ingesta) che non può raggiungere i tratti distali per l'assorbimento. Anche lo squilibrio elettrolitico è grave in questi casi, per la perdita di ioni potassio, sodio, idrogeno e cloruro persi con il vomito. La conseguenza di tutti questi fattori è la disidratazione con shock ipovolemico. Un'ostruzione bassa il vomito insorge più tardivamente, in genere qualche giorno dopo l'instaurarsi dell'ostruzione, ed ha carattere intermittente. L'accumulo di fluidi, più simili in questo caso nella composizione al plasma, determina una minore disidratazione in quanto il loro reflusso prossimale può consentirne il riassorbimento. o Ostruzione per strangolamento: questo tipo di ostruzione comporta un processo ostruttivo con perdita dell'integrità vascolare della parete intestinale. La cause più comuni sono rappresentate dall'invaginamento (o intussuscepzione), dall'avulsione traumatica del mesentere, dalle trombosi mesenteriche, dai volvoli intestinali, dalle ernie strozzate diaframmatiche, inguinali o addominali. Per definizione, la ostruzioni per strangolamento possono essere classificate come ostruzione o trombosi venosa, arteriosa o entrambe. Nel caso di coinvolgimento dei vasi mesenterici, il tratto intestinale interessato dall'ostruzione vascolare e quindi potenzialmente devitalizzato è molto più ampio. Anche alcuni corpi estranei possono creare un'area necrotica secondaria ad uno strangolamento da compressione.

Tutte le modificazioni fisiopatologiche descritte per l'ostruzione meccanica semplice sono presenti anche in questo caso, nel tratto prossimale allo strangolamento. All'azione meccanica dello strangolamento si aggiungono quindi i disturbi della motilità, elettrolitici e metabolici già visti. L'occlusione venosa, a fronte di un normale afflusso arterioso, determina edema e sequestro ematico all'interno della parete intestinale, che diventa ispessita, di colore rosso scuro o bluastro. La motilità diminuisce fino a scomparire del tutto. Nell'arco di pochissime ore (1-3) l'ansa interessata diviene turgida ed il sangue si accumula nel lume intestinale o stravasa nel cavo peritoneale. Si può arrivare anche ad una perdita del 60% della massa circolante in caso di ampi segmenti intestinali interessati. Successivamente si può avere occlusione anche della componente arteriosa, con successiva disintegrazione della parete intestinale e conseguente passaggio di sangue e batteri al di fuori del lume intestinale. I batteri presenti nel tratto distale dell'intestino, costituiti essenzialmente da aerobi coliformi e da anaerobi, possono migrare prossimamente ed incrementare numericamente, con incremento della produzione di tossine. I batteri maggiormente coinvolti nella produzione di queste tossine sono l'Escherichia coli ed i Clostridi, che tendono a proliferare in presenza di emoglobina e di tessuti devitalizzati.

Nel cavo peritoneale si accumulano rapidamente fluidi, inizialmente per la trasudazione conseguente al disturbo di circolo, e successivamente per gli squilibri emodinamici e metabolici locali e sistemici che possono condurre fino alla rottura della parete intestinale. Questi fluidi sono pericolosi, in quanto contengono batteri, endotossine rilasciate dai coliformi ed esotossine rilasciate dai clostridi. La morte è in genere conseguenza di una combinazione di shock ipovolemico, sepsi ed endotossiemia.
Le ostruzioni intestinali quindi possono essere causate da corpi estranei, occludenti o perforanti, neoplasie, invaginamenti, volvoli o torsioni, ernie, aderenze. I corpi estranei sono più frequenti nei cani giovani, per l'abitudine di giocare e deglutire qualunque oggetto di gioco. Nel gatto sono più frequenti i corpi estranei lineari. L'invaginamento è tendenzialmente più frequente nel giovane, in conseguenza di enteriti, malattie sistemiche o successivamente a chirurgia. La torsione ed il volvolo interessano invece soggetti sportivi, di taglia medio-grande, adulti, conseguentemente ad iperattività, errori dietetici, traumi, enteriti.

La sintomatologia è variabile, come già visto, a seconda della localizzazione del corpo estraneo e del tipo di occlusione, nonché della durata dell'occlusione stessa. Disoressia, abbattimento e vomito sono i segni più frequentemente incontrati. Il vomito è tanto più grave quanto più l'occlusione è prossimale e completa, mentre nelle occlusioni distali e incomplete la sintomatologia è più subdola, con vomito saltuario, disoressia, perdita di peso progressiva. Nelle occlusioni con strangolamento la sintomatologia è in genere ad insorgenza repentina, grave, con dolorabilità addominale marcata, possibile dilatazione addominale. Lo shock è una complicanza delle fasi più tardive, e deve essere riconosciuto e differenziato tempestivamente per un corretto approccio terapeutico.
Oltre al segnalamento ed all'esame clinico, sono indispensabili gli esami ematobiochimici, per valutare lo stato generale del paziente ed il suo equilibrio elettrolitico, oltre agli esami ecografico e radiografico, senza e con mdc, per identificare la presenza di un problema ostruttivo e localizzarlo. In alcuni casi si può ricorrere ad una paracentesi, per caratterizzare meglio l'eventuale presenza di liquido libero nel cavo addominale.

Ileo: con il termine ileo, o ileo paralitico, o ileo adinamico, o postoperatorio, è un disturbo della motilità intestinale nel quale il contenuto non riesce a progredire aboralmente a causa di una peristalsi inefficace, in assenza di ostruzione.

Le cause sono numerose, e possono risiedere sia nel tubo digerente che al di fuori di esso, essendo riconosciute come cause di ileo anche malattie sistemiche o trattamenti farmacologici. Nei piccoli animali l'ileo può derivare da infiammazioni di organi addominali.

Diversi sono i meccanismi ipotizzati come causa dell'ileo. Uno di questi è rappresentato da uno squilibrio dell'innervazione orto e parasimpatica intestinale. Il parasimpatico determina un incremento della motilità e della secrezione intestinale, mentre l'ortosimpatico riduce la motilità incrementando nel contempo il tono degli sfinteri. Un ipertono simpatico od un ipotono parasimpatico possono quindi determinare ileo. Lo stress ed il conseguente aumento di adrenalina e noradrenalina nel periodo postchirurgico possono indurre l'insorgenza di ileo per ipertono simpatico, mentre la presenza di cibo nell'intestino, stimolando il parasimpatico, ne riduce la frequenza. Anche alcuni peptidi intestinali (motilina e vasopressina) e le prostaglandine influiscono sulla motilità gastrointestinale. Dopo una laparotomia, la motilità è inizialmente ripristinata nel piccolo intestino (12h), seguita dallo stomaco (24h) e dal colon (48h). Ancora, squilibri elettrolitici (iposodiemia, ipocloremia ed iperpotassiemia) sono stati associati ad ileo. Le modificazioni che si realizzano all'interno del lume intestinale sono quelle già descritte nell'ostruzione meccanica semplice; nell'ileo si può anche instaurare, conseguentemente a queste alterazioni, un meccanismo vizioso autoperpetuante. Con meccanismo analogo allo stress chirurgico, anche il dolore può determinare riduzione della motilità intestinale e quindi ileo.

I segni clinici dell'ileo sono piuttosto vaghi e mal definiti. Si può avere dilatazione addominale, con anse sovradistese ad opera di gas o fluidi, rilevabili all'esame eco o radiografico. Anche la palpazione ci può aiutare a riconoscere la presenza di anse ad anormale contenuto idroaereo. In genere queste anse non si presentano mai così distese come in caso di ostruzione. Il dolore in genere non è presente, con eccezione delle peritoniti o dei casi con grave distensione delle anse intestinali.

Grosso intestino
E' costituito essenzialmente dal colon; il cieco costituisce un piccolo diverticolo del primo tratto del colon, mentre il retto sarà trattato a parte. Le principali funzioni del grosso intestino sono rappresentate dal riassorbimento di acqua ed elettroliti e dal controllo della defecazione. Gli aspetti fisiologici del grosso intestino sono già stati trattati in precedenza.
Megacolon: si definisce come una condizione patologica caratterizzata daipomotilità e dilatazione del grosso intestino che esita in costipazione ed obstipazione. In effetti non si tratta di una entità nosologica specifica, ma di una valutazione soggettiva del diametro del colon. Una qualunque condizione ostruttiva o pseudostruttiva del colon può causare una costipazione progressiva, che esita in obstipazione. Il megacolon quindi rappresenta lo stadio finale di questa condizione.
Il megacolon può essere classificato come congenito o acquisito, primario o secondario, intrinseco od estrinseco, funzionale o meccanico. La ritenzione di feci all'interno del colon induce un eccessivo riassorbimento di acqua che disidrata e solidifica le feci; in questo modo l'eliminazione diventa difficile e dolorosa, determinando un ulteriore accumulo che può portare ad un aumento delle dimensioni della massa fecale, tale da renderne impossibile il passaggio attraverso il canale pelvico (obstipazione). Il perdurare di questa condizione di dilatazione induce inerzia del colon e megacolon. I soggetti affetti presentano depressione centrale, debolezza, anoressia, legate probabilmente al riassorbimento di tossine del metabolismo batterico prodotte nel lume stagnante del colon. Le stesse tossine e la dilatazione viscerale possono indurre vomito attraverso la stimolazione chimica della CTZ o per stimolazione diretta vagale. Non è impossibile osservare diarrea, giacché ci può esser passaggio di feci liquide intorno alla massa indurita. In più, l'irritazione della mucosa determinata dalla massa fecale può indurre la secrezione di muco e l'essudazione di sangue, per cui la diarrea può anche avere un aspetto acquoso ed emorragico.
Nei casi gravi, oltre ai sintomi descritti, si possono avere tenesmo, letargia e perdita di peso.
Megacolon idiopatico: la causa è sconosciuta; alla base dell'inerzia del colon sembrano comunque esserci anomalie dell'innervazione intrinseca (plessi mioenterico di Auerbach e sottomucoso di Meissner) ed estrinseca (pregangliare colinergica e postgangliare adrenergica). La diagnosi è posta per esclusione, eliminando tutte le possibili cause di costipazione intrattabile, attraverso indagini radiografiche ed endoscopiche. Megacolon secondario: può derivare da traumi neurologici, patologie endocrine, alterazioni comportamentali. Nella forma da ostruzione può conseguire a fratture pelviche, stenosi comunque indotte, atresia anale, compressione, corpi estranei, errori dietetici.

Retto e ano
Il retto origina cranialmente nel punto in cui l'arteria rettale craniale penetra nello strato sieromuscolare della parete del grosso intestino, subito cranialmente in genere alla rima pubica, e termina nel canale anale. Nel suo terzo craniale è rivestito da peritoneo. Nella parte caudale è circondato da una parte muscolo-aponeurotica imbutiforme che costituisce il diaframma pelvico. La struttura muscolare è analoga a quella colica; nella parte caudale si ispessisce e si fonde con gli sfinteri anali interno ed esterno. La struttura anatomica anale è descritta nel capitolo riguardante le patologie perianali. Si tratta di una regione molto importante, che influenza in modo significativo la qualità di vita dei pazienti.

Le lesioni di questa regione sono spesso contrassegnate da sintomi quali dischezia, ematochezia, incontinenza fecale e dolore, comuni anche ai disturbi del colon. In genere mancano invece i segni generali, quali abbattimento, vomito, diarrea, perdita di peso, che sono più tipici dei problemi colici o sistemici e possono aiutare nella differenziazione. La visita clinica prevede l'ispezione esterna e la palpazione regionale, attraverso l'esplorazione rettale digitale, per valutare il tono dello sfintere anale, la muscolatura del diaframma pelvico, la eventuale dilatazione e spremibilità dei sacchi anali, il diametro del canale rettale e le caratteristiche della mucosa interna (normalmente presenta pliche longitudinali rilevate). Nel contempo si possono valutare la prostata, la volta della vagina e l'uretra pelvica. Nei soggetti affetti da patologie anorettali l'esplorazione rettale può essere estremamente dolorosa, per cui può rendersi necessario il ricorso ad una profonda sedazione.

L'ematochezia (presenza di sangue nelle feci) e/o un eccesso di muco in presenza di feci normali sono buoni indicatori di un problema anorettale. Il tenesmo (atteggiamento di persistente o prolungata defecazione, in genere inefficace e spesso doloroso) indica genericamente un disturbo sia anorettale che colico, e va differenziato dalla dischezia (defecazione dolorosa), più caratteristica dei disturbi anorettali. Questi ultimi due aspetti sono facilmente confondibili, specie dal proprietario, per cui può essere necessario osservare attentamente il soggetto durante la defecazione. Inoltre bisogna ricordare che il tenesmo può originare anche da problemi genitourinari, che vanno tenuti in considerazione nel diagnostico differenziale. Ano imperforato, atresia dell'ano: consegue ad un difetto di sviluppo della membrana cloacale che non si separa, o in una divisione non corretta della cloaca primordiale ad opera del setto anorettale. Il difetto si rende evidente nei primi giorni di vita, sia per un caratteristico rigonfiamento presente al posto dell'orificio anale, sia per una anormale dilatazione addominale conseguente alla ritenzione del meconio. Spesso è associato a criptorchidismo, spina bifida e artrogrifosi.

Aplasia segmentale: in questo caso esiste un tratto più o meno lungo dell'ultimo segmento che non si è sviluppato. In genere l'orificio anale è conservato, mentre il canale anale (atresia anale) o il retto (atresia rettale) sono a fondo cieco. I segni clinici sono costituiti dall'assenza di defecazione (molto difficile da riconoscere), dalla dilatazione addominale e dalla scarsa vitalità del cucciolo, che presto smette di nutrirsi. La diagnosi può essere perfezionata radiograficamente, evidenziando il megacolon ed il punto di terminazione del colon-retto.

Fistola retto-genitale: è una condizione molto rara, talvolta congiunta all'atresia anale, dove il canale rettale è in comunicazione con la vagina (femmina) o con l'uretra (maschio).
Deviazione e dilatazione rettale: in caso di ipotrofia del diaframma pelvico, l'elevata mobilità del retto fa sì che questo possa deviare dalla linea mediana in posizioni anomale, flettendosi anche a forma di "S". La dilatazione è una deviazione di piccola entità, in genere caudale al m.coccigeo e craniale all'ano, che nel tempo, a seguito di atrofia delle fibre muscolari della muscolaris mucosa, può dare origine ad un diverticolo.

In genere la conseguenza più comune dell'ipo/atrofia del diaframma pelvico è l'ernia perineale, per cui spesso la deviazione rettale e le deviazioni o i diverticoli sono diagnosticati insieme a questa. Sole o associate comunque, le diverse lesioni hanno patogenesi comune.
I segni clinici sono costituiti da tenesmo, sforzi defecatori, costipazione, odore delle feci molto sgradevole. Può coesistere ematochezia secondaria. La diagnosi può essere fatta con l'esplorazione rettale digitale, unitamente ad un esame radiografico con mdc per evidenziare il decorso e lo stato della parete rettali.

Prolasso rettale ed anale: il prolasso rettale può essere completo o incompleto; in quest'ultimo caso è solo la mucosa che prolasso al di fuori dell'orificio anale. Nel prolasso anale si ha eversione della sola mucosa anale. Le cause di questi prolassi sono da ricercarsi nel tenesmo e negli sforzi defecatori, quindi in generale ogni lesione intrapelvica che determini questi segni può indurre un prolasso. Sono riconosciuti comunque fattori predisponenti, quali debolezza della muscolatura e dei tessuti perirettali e perianali, contrazioni peristaltiche non coordinate, flogosi ed edema delle mucose. Fattori scatenanti possono essere costituiti da parassitosi (specie nei giovani animali), enteriti e proctiti in generale, corpi estranei rettali, tumori intrapelvici, distocie, prostatiti, e in genere lesioni ostruttive o infiammatorie dell'ultimo tratto dell'apparato urogenitale. Il prolasso rettale può essere associato anche a deviazione rettale o ad ernia perineale. La diagnosi viene fatta con l'esplorazione digitale, introducendo il dito fra la parte prolassata e la parete rettale. Il dito in questo caso non avanza molto fra le due strutture. Se il fornice rilevabile invece è molto profondo, si deve pensare al prolasso di un invaginamento ileo-cieco-colico.

Proctiti, anusite e idroadenite perianali: la proctite (infiammazione del retto) in genere consegue ad una colite, come anche a forme irritative locali (prolassi ricorrenti, corpi estranei ecc.). L'anusite (infiammazione dell'ano) può essere conseguenza della fermentazione locale di feci conseguente ad incontinenza, o del legamento o sfregamento insistente dell'ano per infarcimento dei sacchi anali, dermatiti, parassitosi. Anusite e idroadenite sono considerati anche fasi iniziali della formazione delle fistole perianali. La sintomatologia è costituita da tenesmo, dischezia, prurito ed irritazione locali. Stenosi rettale ed anale: qualunque problema infiammatorio cronico, traumatico o chirurgico della regione perianale può indurre una stenosi. La formazione in eccesso di connettivo cicatriziale, unita alla fisiologica retrazione riparativa, possono indurre una stenosi. Anche neoplasie locali possono indurre, direttamente per invasione o indirettamente per retrazione, stenosi rettale o anale. Bisogna quindi distinguere fra le stenosi cicatriziali e quelle per compressione esterna, ed anche dalle riduzioni del lume per la presenza di masse endoluminale.

La sintomatologia è quella comune ai problemi regionali (tenesmo, dischezia, costipazione). L'esame digitale, accompagnato da un esame bioptico, in genere è sufficiente a formulare una diagnosi. Spasmo rettale: definito anche costrizione anorettale funzionale, è una contrazione spastica, transitoria o cronica, dello sfintere anale. Può conseguire a lesioni irritative o traumatiche della regione, ma in alcuni casi non ha apparente motivazione. Il problema va distinto dalle stenosi e dal normale ipertono dell'ultimo tratto rettale (da alcuni definito terzo sfintere).

La forma idiopatico è stata osservata maggiormente in soggetti eccitabili e nel Pastore tedesco. Clinicamente si può osservare dischezia, unita a costipazione o diarrea. La diagnosi è posta per esplorazione digitale; nel dubbio possa trattarsi di una stenosi è necessario porre il soggetto in anestesia generale, stato nel quale lo spasmo generalmente si risolve. Tumori rettali: sono rari, ed in genere rappresentati da polipi adenomatosi benigni. Questi originano dalla mucosa rettale, in forma sessile o peduncolata, singoli o disseminati. Possono invadere la membrana basale, ed in questo caso devono essere considerati come carcinomi in situ. Nella pratica clinica, polipi, carcinomi in situ ed adenocarcinoma non sono distinguibili tra loro senza esame bioptico. Alcune forme di adenocarcinoma possono indurre stenosi per l'andamento infiltrante circolare della parete intestinale. La sintomatologia clinica è quella tipica dei problemi regionali.

La diagnosi è bioptica, con l'ausilio dell'esplorazione rettale e della diagnostica per immagini per la ricerca delle metastasi regionali (linfonodi iliaci) e sistemiche.

(M. Modenato, V. Marchetti)

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