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El genio de la Pampa

a cura di Stefano Nicelli - tratto da "Molossi" n°4 2001

In Italia non ha ancora riscosso il successo che si merita, ma in Argentina, dov'è nato grazie al sogno di un medico con Ia passione dei cani, è quasi un monumento nazionale vivente. Ecco il Dogo Argentino, una perfetta "macchina da caccia grossa" ma anche un compagno di vita fedele, amabile e pronto a difenderci ogni qualvolta le circostanze lo richiedano. Pregiudizi e ignoranza a parte. La storia della cinofilia è spesso legata al nome di singoli personaggi meritevoli di aver dato un fondamentale avvio alla creazione di una nuova razza Il caso forse più eclatante è quello di Louis Dobermann, messo comunale nella cittadina di Apolda, in Turingia, che a metà dell'800 concepì la razza che poi prese addirittura il suo nome. E che dire di Einrich Essig, consigliere comunale della città di Leonberg (sempre in Germania), che volle fortemente creare un nuovo cane che somigliasse il più possibile al leone riprodotto sull'antico stemma araldico della citta e riuscì alla fine a dare vita al Leonberger? Non si può infine dimenticare il capolavoro del capitano Max von Stephanitz, il papà del Pastore Tedesco. Anche il Dogo Argentino ha un suo padre ben preciso. Anzi, due: il dottor Antonio Nores Martinez e quello che potremmo definire il "padre adottivo", suo fratello Augustin. A dispetto però delle altre figure medio-borghesi, Ia famiglia Martinez era ricca, importante e soprattutto con un alto livello di cultura. Basti dire che il nonno, emigrato dalla Spagna nel sud America ai primi dell'800, ebbe otto figli tutti laureati in discipline diverse. Antonio N. Martinez era un medico. Quando concepì per la prima volta l'idea di creare una nuova razza canina era perô poco più che un ragazzo: quasi diciotto anni lui, diciassette il fratello. "Mi ricordo ancora come se fosse ieri..." scrive Augustin nel
libro Storia del Dogo Argentino, "il giorno, in cui mio fratello Antonio per la prima volta mi fece partecipe della sua idea di creare una nuova razza di cane da utilizzare per la caccia grossa e per la quale si stava preparando a sfruttare la tenacia del Cane da presa di Cordoba. L'idea era quella di inserire il sangue anche di altre razze che gli avrebbero conferito altezza, buon fiuto, velocità, istinto di caccia e, più di ogni altra cosa, ne avrebbero ridotto quella forte tendenza a lottare con altri cani che si sarebbe dimostrata poco utile per la caccia al branco. Ne sarebbe emerso un mix di elementi che li avrebbe trasformati in cani socievoli, capaci di vivere in libertà, in famiglia e nelle tenute, sfruttando il grande coraggio della razza di partenza ma indirizzandolo verso un utile e nobile fine: la caccia sportiva e il controllo degli animali nocivi".

Il Peso delle bugie

Il Dogo Argentino viene spesso citato tra le razze da bandire in molti provvedimenti sui cani pericolosi a livello internazionale. La sensazione è però che venga in parte risparmiato dalla bufera condotta dai mass media e che invece colpisce duramente cani come il Pit Bull o il Rottweiler. Perchè? Lo abbiamo chiesto a Serafino Bueti, titolare con la moglie Chiara, dell'allevamento Dei Falchi Bianchi (Loc. Bibbiano, 53034 Colle Val D'Elsa, Siena. Tel. e Fax 0577-959710) e neopresidente del club di razza italiano. "La risposta è molto semplice: non si può parlare male di una razza quando questa non ha mai dato motivo di farlo. Mai si è sentito di un Dogo che abbia morso qualcuno, né di un Dogo che abbia dato problemi di squilibrio. Potrei quindi riassumere semplicemente che da questo punto di vista, è un cane che non fa parlare di sè. Quello che invece è inspiegabile è proprio come questa razza, insieme ad altre, possa essere stata inserita nella lista dei cani pericolosi. Sono 17 anni che allevo e posso assicurare che, se viene allevato e cresciuto correttamente, di Dogo è un cane leale, tranquillo, paziente ed affidabile. Il lavoro che gli allevatori svolgono nella selezione è dunque fondamentale per creare cani equilibrati, oltre che morfologicamente corretti. Un ruolo fondamentale lo svolge poi il club di razza, con la sua importantissima mansione di controllo e tutela. Quindi, sia il club che la serietà dell'allevatore assicurano un'ottima garanzia per il futuro della razza stessa". Cane equilibrato e non pericoloso: benissimo. Però, nonostante negli ultimi anni si sia registrato un costante aumento nei libri genealogici dell'Enci, tra il Dogo Argentino e i cinofili di casa nostra non è scoppiato l'amore. E dire che non si possono nemmeno tirare in ballo razze esteriormente simili e quindi tali da far dirottare altrove le preferenze... "Le spiegazioni possono essere molte. Le nascite del Dogo in Italia sono state veramente esigue e solo negli ultimi 5-6 anni c'è stato un crescendo graduale, ma abbastanza consistente. Il primo motivo credo che vada ricercato nel modo in cui è stato largamente pubblicizzato quando i primi Dogo entrarono in Italia: il cane "killer". E devo dire che per smitizzare questa pubblicità sono occorsi molti anni, tanta pazienza e anche tanto amore verso una razza che no si meritava certo di destare tutti questi pregiudizi. Un altro motivo credo che possa essere individuato nel fatto che il Dogo nasce per la caccia alla grossa selvaggina. Io ho sempre affermato che in Italia il Dogo non può essere usato per la caccia, e a tutt'oggi sono dello stesso parere. L'ambiente venatorio argentino è completamente diverso dal nostro, per non parlare poi del modo di cacciare! L'ultima ragione di questo mancato decollo nei libri genealogici va infine cercato proprio nel fatto di essere stato inserito nella lista dei cani pericolosi. Io che da tanti anni lo allevo mi auguro che un giorno possa essere elencato fra le razze più apprezzate. Spero però che la sua crescita avvenga gradualmente, in modo tale che solo i veri amatori possano portare avanti la razza e soprattutto lo facciano in modo serio, senza rischiare che la moda lo possa danneggiare attraverso accoppiamenti scriteriati e condotti solo per la mania di vendere".

L' alchimia del DOTTOR ANTONIO

Alle parole seguirono i fatti. Ed è un caso straordinario -quasi raro- che ancora oggi possiamo seguire la nascita di una nuova razza seguendo passo a passo il lavoro del suo creatore. E se questo è possibile è solo grazie alla meticolosità del dott. Antonio nell' annotare su un registro i vari incroci eseguiti. Prima di approfondire questo complesso lavoro è però necessario fare una premessa. Quando Augustin cita la "caccia grossa" (la caza major, com' è chiamata in Argentina) non dobbiamo dimenticare l' ambiente nella quale questa si svolgeva: la pampa. Vale a dire una vasta distesa fitta, silenziosa e pianeggiante, nella quale i cani dovevano avere una tattica di caccia, un coraggio ed una determinazione tali da far intimidire anche i più provetti segugi europei. Le prede erano animali scaltri e temibili come il puma e il giaguaro o combattivi come il cinghiale. Ai cani spettava il compito di affrontarli e bloccarli con una stretta al collo o al muso, in attesa del sopraggiungere dei cacciatori a cavallo, ed è quasi inutile dire che dovevano essere soggetti eccezionali. Antonio N. Martinez, da provetto cacciatore qual era, lo sapeva bene. Per questo decise di partire dal miglior cane da combattimento presente in Argentina, il cane de Pelea cordobès (cane da presa di Cordoba). Si trattava di un' eredità del dog fighting, pratica portata in Argentina da spagnoli e inglesi, e che anche avevano trovato un notevole consenso. Iniziò dunque con l' incrociare questo cane con altre otto razze diverse, ciascuna scelta per una caratteristica precisa: il Boxer per l' equilibrio caratteriale, il Bull Terrier per il coraggio, il Bulldog Inglese, il Mastiff e il Dogue de Bordeaux per incrementare la potenza della presa e lo sviluppo mascellare, l' Alano per la statura, il Pointer per l' olfatto e il cane dei Pirenei per il candore del mantello. Il primo risultato fu la creazione nel suo allevamento di quella che lui definì la Famiglia Araucana, una sorta di babele di soggetti dalle taglie e forme più disparate. L' obiettivo, nonostante la confusione che ci si può immaginare, era però chiaro: ottenere, come lui stesso disse, "un Dogo Argentino di notevole omogeneità razziale e costanza genetica". L' impresa finalmente riuscì non molto tempo dopo. Nel 1928, dopo solo tre anni di lavoro, Antonio N. Martinez poté stilare una prima bozza di standard del nuovo cane. I tempi, però, erano probabilmente ancora prematuri tanto che la Federazione Cinologica Argentina ebbe una prima, tiepida reazione. Probabilmente voleva avere la certezza che la nuova razza potesse mantenere inalterato con gli anni sia il genotipo che il fenotipo. Così il lavoro di Martinez continuò ulteriormente, cercando di affinare l' obiettivo attraverso il reincrocio dei cani nati nelle generazioni che via via si susseguono. Come spesso capita in questi casi, però, il papà del Dogo Argentino non potè vedere coronato il suo sogno. Nel 1956, durante un' ennesima battuta di caccia, venne ritrovato morto. Si trattò probabilmente di un omicidio ma, ed in certo senso è questa la cosa più importante, veniva compromesso quel prezioso lavoro selettivo portato avanti fino ad allora. Se questo non è accaduto è solo grazie alla disponibilità del fratello Augustin. Ritiratosi a Chubut, una delle isole della Patagonia, portò a termine il lavoro di Antonio tanto che nel 1964 la Federazione Cinologica Argentina e l' Argentina Rural Society riconobbero la nuova razza. Nove anni più tardi, nel 1973, anche lo fece la Fci, approvando lo standard di razza rimasto in vigore fino al 1999 (da allora ne esiste una nuova versione).

Il Dogo: un CAPOLAVORO della genetica

I risultati dell' incredibile lavoro portato avanti da Antonio N. Martinez si vedono ancora oggi. Il Dogo Argentino appare come un molosso da gli arti lunghi, decisamente robusto ma ugualmente armonico nel suo insieme. L' altezza al garrese varia nei maschi da 62 a 68 cm, da 60 a 65 cm nelle femmine. La testa, di proporzioni medie, dà l'impressione di forza e potenza senza angoli bruschi né fini cesellature. Il profilo della regione cranica è convesso, il muso leggermente concavo. Lo stop è mediamente marcato. Il tartufo nero con narici ben aperte.
Gli occhi sono di colore dal bruno scuro al nocciola, a mandorla e posizionati a media altezza. Le palpebre presentano un bordo preferibilmente pigmentato di nero. Le orecchie sono attaccate alte e ben separate l'una dall' altra se tagliate sono portate diritte, di forma triangolare e di lunghezza non superiore al 50% della lunghezza del bordo anteriore del padiglione dell' orecchio naturale. Se invece restano integre, sono di lunghezza media, larghe, spesse, piatte e arrotondate all'estremità. Il collo è di lunghezza media, forte, diritto, con buona muscolatura e con una linea superiore leggermente convessa. La sezione è di tronco di cono. Alla gola presenta delle pieghe non pendenti e lisce. Il tronco è inscritto nel rettangolo. La sua linea superiore è orizzontale. Il garrese è ampio e ben rilevato. Il dorso è largo e vigoroso, con un importante sviluppo muscolare che crea una leggera inclinazione in direzione della regione lombare.
Quest'ultima è solida. un po' più corta del dorso e leggermente risalente verso la groppa. La groppa, a sua volta, è di lunghezza media, larga e muscolosa. Il petto è largo e ben disceso, con costole lunghe e moderatamente curvate. Il ventre è vigoroso e un po' rialzato in rapporto alla linea inferiore del torace, ma mai levrettato.
La coda è attaccata a media altezza e forma un angolo di 45 gradi rispetto alla linea superiore del dorso. E a forma di sciabola, spessa e lunga, e raggiunge i garretti senza superarli. A riposo è portata naturalmente cadente; in azione un po' più alta sull'orizzontale. Gli arti anteriori sono un tutt'uno muscoloso ed osseo saldo e vigoroso. Visti di fronte e di profilo appaiono diritti e paralleli. Quelli posteriori presentano angolazioni medie e sono forti, solidi e paralleli. I piedi sono arrotondati con dita corte, solide e ben strette (quelli posteriori sono simili ma più piccoli e leggermente più lunghi). Il mantello è caratterizzato da pelo corto, liscio e di lunghezza compresa tra i 1,5 e di 2 cm. 11 colore è bianco puro. Viene ammessa una macchia nera o scura attorno agli occhi, ma non deve essere superiore al 10% della superficie della testa. Difetti eliminatori sono il tartufo depigmentato, il prognatismo superiore o inferiore, gli occhi blu o eterocromi, la sordità il pelo lungo, più di una macchia sulla testa, l'altezza superiore o inferiore allo standard e l'aggressività.

Un duro dal CUORE TENERO

Se, leggendo lo standard, appare evidente il fatto che il Dogo Argentino sia stato costruito a tavolino per essere un formidabile cacciatore (ricordiamo, per inciso, che il colore bianco del mantello serviva a distingue re meglio il cane nelle concitate fasi della caza mayor c'è purtroppo da sottolineare che nel tempo, proprio per le sue caratteristiche fisiche, è stato facile individuare in lui anche una "perfetta macchina da guerra", nel senso più negativo del termine. Già nel 1991 la Dangerous Dog Act inglese inseriva il Dogo Argentino tra le razze da proscrivere assieme a Pit Bull Terrier, Tosa Giapponese e Fila Brasileiro. In generale, però durante tutti gli ultimi dieci anni - pur senza l'enfasi data ad esempio al Pit Bull - la razza argentina è stata comunque citata tra quelle considerate pericolose. La conseguenza è stata Ia creazione di epiteti tanto eccessivi da risultare improbabili: demonio bianco, implacabile mostro e così via. La vera ragione, però va come al solito cercata in un pericoloso cocktail di stupidità umana, doti oggettive del cane, ignoranza e volontà da parte dei padroni di riflettere sul cane il proprio desiderio di potenza. Ne consegue che, nonostante l'opera di molti allevatori ed appassionati decisi a ribaltare un preconcetto ingiustificato, resta tuttora viva l'idea che questo molosso bianco debba necessaria mente essere feroce. Ne è una testimonianza il comunicato pubblicato il 21 febbraio 1999 sul quotidiano argentino Clarin da parte del locale Club del Dogo Argentino "Dr Antonio Nores Martinez". "L'onorevole Commissione Direttiva del Club" si legge tra le altre cose, "in relazione alle lamentele dell'opinione pubblica (...) sente il dovere di rivolgersi a tutta la nostra comunità, precisando che: a causa della insicurezza nella quale oggi vive la nostra società, è cresciuto il numero di cani dalla struttura forte ed il morso efficace ed in lui viene ricercata la protezione che altri non sono in grado di offrirgli. Il cane, naturale protettore di chi lo ama e compagno dell'uomo da quando quest'ultimo ha messo piede sulla terra - prosegue il comunicato - offre una soluzione a questi problemi ma la sua tenacia dev'essere accompagnata dalla responsabilità dei suoi proprietari che devono conoscere le sue specifiche necessità. (...) Un Dogo Argentino, come tutti i cani, è un compagno fedele. Ama i suoi proprietari però non è adatto a chi preferisce un cane indipendente". Come stanno allora le cose? Rispondiamo nella maniera forse più banale ma vera: non è un cane per tutti non tanto (come nel caso di un nostro lettore che faceva riferimento al Rottweiler) per il fatto che si fa amare, cosa per altro verissima, ma piuttosto perché oggettivamente le sue doti fisiche unite ad una notevole capacità di offendere lo rendono pericoloso se gestito in malo modo. In questo senso gli allevatori spendono da anni litri di fiato per ricordare che siamo di fronte ad un cane generalmente di ottima indole, dolcissimo, intelligente, fedele e leale. Lo stesso standard del 1999, aIla voce Comportamento e carattere, recita testualmente: E' gioioso, franco, amabile, non diffidente (...). Non deve mai essere aggressivo, tratto del carattere che dev'essere attenta mente tenuto sotto controllo" (é il caso di ricordare che l'aggressività viene considerata difetto eliminatorio?).
Insomma il Dogo Argentino è un duro solo in apparenza. E solo quando serve. Per tutto il resto del tempo vive per il padrone e Ia sua famiglia ma non transige qualora essi siano in pericolo. In questo caso sì che diventa veramente una "macchina perfetta"; ma non da guerra, da difesa. A suo vantaggio va poi il fatto che raggiunga la completa maturità mentale solo intorno ai 2-3 anni di vita. Questo permette di avere un cane a lungo giocoso e ricettivo nei confronti dell'addestramento che gli viene impartito. Eccoci così arrivati al punto dolente. Chi vuole avere un Dogo aggressivo non incontra molte difficoltà: il suo progenitore (il cane da presa di Cordoba) era un combattente; per anni, poi, ha dovuto affrontare prede non certo facili. Tutto insomma ha fatto sì che maturasse in lui uno eccezionale spirito combattivo. A questo si unisce poi "la naturale predisposizione a dominare, in particolar modo marcata nei maschi, (cosa che lo fa) coinvolge(re) continuamente in lotte territoriali con cani dello stesso sesso" (cfr. standard Fci del 29.1.1999). Se però vogliamo avere un Dogo equilibrato e assolutamente gestibile, i passi da fare sono altri. "Essendo un cane molto sensibile" scrive Serafino Bueti, storico titolare dell'allevamento Dei Falchi Bianchi (Colle Val d'Elsa, Siena), "un addestramento sbagliato, violento o anche troppo prolungato e insistente, potrebbe influire in maniera molto negativa sul suo carattere". Meglio quindi, adottare intelligenza e soprattutto sensibilità. Utile sarà ad esempio farlo socializzare fin da cucciolo sottoponendolo ad una vasta serie di stimoli visivi, sonori ed olfattivi. Per evitare che la sua naturale predisposizione verso il prossimo lo renda poco propenso alla guardia, sarà però il caso, intorno ai 6-7 mesi di vita, di tenerlo un po' più isolato, in modo tale che sviluppi un certo spirito di diffidenza verso chi non conosce e potrebbe rappresentare un pericolo. Secondo alcuni è infine da evitare l' addestramento all' attacco cosa peraltro ribadita dal club di razza argentino che, nel suo comunicato, specifica: "ha bisogno solo di educazione".

Una SALUTE da tenere d'occhio

Abbiamo fino ad ora visto come sia importante Ia gestione del carattere di questo cane. Qualche attenzione va però posta anche alla sua salute. A questo proposito il dr. Fernando Moreno, già presidente del club di razza argentino, dichiarava in una intervista pubblicata su I nostri cani nell'aprile 1996: "Oggi i controlli del club sono sicura mente più severi anche se ancora qualche accoppiamento abusivo sfugge, date le enormi distanze e spesso l'inaccessibilità del terreno. Certamente proprio agli errori del passato più recente si devono le patologie che si riscontrano in alcuni Dogo e che non erano tipiche della razza come la displasia dell'anca, l'entropion e l'ectropion, problemi osteogenetici. (...) La dentatura (poi) è spesso debole". Oltre queste patologie bisogna ricordare la sordità, a cui va ad aggiungersi una particolare attenzione alla dieta, dato che sono cani generalmente golosi, e all'eccessiva esposizione solare, possibile causa di dermatiti attiniche. I consigli da dare per scegliere un buon Dogo sono allora grosso modo i soliti: scegliere un buon allevamento, controllare i genitori del cane ed evitare di scegliere i soggetti che appaiono più timidi e timorosi. Sara poi il nostro impegno, l'esperienza e la sensibilità a guidarci nel far crescere nel miglior modo possibile questo monumento vivente dell'Argentina, "sogno incarnato" di un medico con la passione del cani.

Sito consigliato dallo staff: www.falchibianchi.it 

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