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caccia  ed anticaccia: le  radici profonde  di un conflitto

Non è il suo corpo che voglio, ma la sua magia. ( M. Del vecchio )

a cura di Palmiro Clerici

caccia

( foto: http://www.setteringlese.com/ )

Quest’ultimo  periodo è stato per me un momento di profonda riflessione sulle argomentazioni che sostengono l’attività venatoria, e sullo scontro in atto con i suoi detrattori. A partire da un fatto di cronaca, oramai a tutti noto: la chiusura della caccia alla volpe ed alla lepre con i segugi in Inghilterra, svilupperemo alcune riflessioni, ritengo interessanti per tutti, a proposito di ecologia  e diritti degli animali. In sostanza il Governo inglese sta cercando di sottrarre ai cacciatori britannici il loro sport più amato, la loro arte venatoria più nobile ed antica. Come spesso accade  la realtà è un po’ diversa da come viene raccontata da giornali e televisioni. La nuova legge non vieta la caccia alla lepre o alla volpe con i segugi, vieta invece l’inseguimento di questi animali con la finalità della cattura da parte dei cani, perché considerata crudele. D’ora in avanti si verrà a creare in Gran Bretagna una situazione singolare per cui una persona potrà cacciare con 2 segugi e l’arma da fuoco, si badi bene senza alcuna limitazione dei capi abbattuti, ma non potrà cacciare un'unica lepre armato “solo di 30 cani”. Ai meno informati ricorderò soltanto che cacciare con i segugi “ alla corsa “ è una faccenda molto difficile e dall’esito incerto. La sua efficienza di predazione rimane molto bassa anche in condizioni ottimali. In campagna quando caccia una muta di Beagle o di Foxhound non viene a crearsi certo una situazione alla “ Bambi “, con tutti gli animali della foresta in preda ad un cieco terrore, ma bensì una situazione alla “ Bugs Bunny “ , dove una natura pressochè indifferente osserva l’animale inseguito prendersi gioco dei cani e di chi li conduce, sempre perfettamente padrone della situazione. Gli  ecologisti ritengono forse, senza averlo mai visto, che l’inseguimento dell’animale cacciato che può superare anche le due ore, avvenga sempre con l’animale a vista. Non sanno invece che l’animale selvatico possiede sempre un enorme vantaggio, anche su una muta molto numerosa, che non caccia quasi mai sulla preda a vista, ma districandosi nelle continue difficoltà di una traccia estremamente labile e mutevole. Le centinaia di migliaia di persone che nel Regno Unito continuano ad amare questo tipo di caccia trovano piacere non certo da un perverso bisogno di sangue, ma dal godimento che provano nel vedere lavorare i segugi seguendo una pista come fossero una sola cosa, dalla vita all’aria aperta, dalla possibilità di condividere questa passione con altre persone. Certo a volte accade che i cani riescano a superare in tenacia , abilità , e resistenza chi li precede. La presa avviene sempre dopo l’ennesima rimessa  o su una ripartenza da questa, la morte è istantanea e non ci sono mai feriti. Solo dopo i cani mangiano la loro preda, come i lupi fanno dalla notte dei tempi. Quello che i cani fanno con le prede morte è quello che la volpe fa con gli altri animali , che il Leone fa con la Gazzella, che tutti i giorni va in scena nel mondo, sul grande palcoscenico della Vita. Ho visto e posso rendere testimonianza. L’apparente contraddizione mette a nudo quello che è il vero nodo della questione, su cui si giocherà la sopravvivenza della caccia, in tutti i paesi moderni, nei decenni a venire. Anche se i protezionisti usano spesso come arma propagandistica l’esaltazione degli eccessi e delle storture che pure esistono all’interno del panorama venatorio, la cosa  che il mondo moderno non ci perdona risiede nel concetto di crudeltà. Quello che la gente della strada ritiene oggi eticamente inaccettabile è che qualcuno possa provare piacere, ”divertirsi”, nell’atto di uccidere un essere vivente. Veniamo spesso dipinti come maniaci delle armi o comunque dell’uccisione fine a se stessa, e su questo terreno dovremo essere pronti a render conto delle nostre ragioni. Poniamoci quindi le domande fondamentali: davvero tutti coloro che praticano questa attività antica come l’uomo, rappresentano un “ primitivo antro dei bruti “ da civilizzare? La caccia in quanto attività ludica è davvero qualcosa di  moralmente indegno dell’uomo adulto e maturo del XXI° secolo? Possibile che generazioni di scrittori , poeti, uomini di cultura e di scienza che pure si sono appassionati all’arte cinegenetica nel corso della sua lunghissima storia fossero tutti  moralmente riprovevoli? Oppure c’è di più ?

In tutte le civiltà , dall’antichità classica in poi , passando attraverso i pellerossa, i popoli africani, per finire al mondo arabo , e poi su fino a noi , la caccia e stata sempre vista e vissuta in due maniere distinte e complementari: come attività di sussistenza da un lato, e come ricerca di comunione profonda con la natura dall’altro. La caccia vera ( non certe sue versioni consumistiche ) quando esercitata con passione e competenza sa dare ancora oggi un senso di libertà , ed al tempo stesso di appartenenza alla “lunga catena dell’essere“ che poche altre attività umane sanno regalare. La caccia rappresenta, prima di ogni altra cosa, un magnifico rituale e quando ben condotta, assume un fascino irresistibile poiché rispetta l’ordine naturale delle cose: la preda contro il predatore, l’astuzia animale contro l’intelligenza  umana nel rispetto delle regole e della dignità animale. La caccia con i segugi , in particolare, conserva il sapore inimitabile delle cose vere ed il profumo inebriante della libertà, in un mondo oramai assuefatto alle realtà virtuali.

Poco lungimiranti coloro che pretenderebbero di trasformare tutto il pianeta in una gigantesca area protetta. Come non capire che nel corso del tempo, sotto tutte le latitudini sono state proprio la caccia, la pesca, e tutte le piccole attività di fruizione del territorio, con i loro valori simbolici e culturali, a legare l’uomo al cuore della propria terra. Una volta tagliate queste radici diventeremmo tutti gitanti della domenica, ecologisti da raccolta differenziata che vivono la natura come uno dei tanti beni di consumo. Perennemente in colpa davanti al televisore mentre ci mostra quali scempi produciamo sulla terra , allegramente menefreghisti mentre sciamiamo per le strade del mondo. La natura per noi animali urbani, immersi in un esistenza sempre più artificiale, garantita e rassicurante, è diventata qualcosa da vivere saltuariamente come spettatori distratti e superficiali.

Perché non chiedersi come mai proprio tra i contadini e tra tutti coloro che provengono da quella  cultura  è più immediata e naturale la comparsa di questa atavica passione , così osteggiata invece dagli abitanti delle grandi città? Non sarà forse perché tra gli abitanti della campagna immersi 365 giorni all’anno in quel meraviglioso enigma che siamo soliti definire Natura, è assolutamente normale identificarsi con essa, accettarne tutte le regole , anche le meno “simpatiche”. Troppo superficialmente l’attività venatoria viene bollata come “ delle persone che uccidono animali come passatempo domenicale, magari per sentirsi più virili”. Ho attraversato tutta l’Europa seguendo la mia passione cinofilo-venatoria, dovunque ho trovato persone squisite, veri gentiluomini , o anche soltanto uomini e donne semplici e cordiali. E’ altrettanto evidente che, come in tutte le altre attività umane, esistono pure gli sciocchi, i presuntuosi, e i superficiali. Laddove ho trovato gli eccessi erano quasi sempre legati alla moderna mentalità consumistica, che oramai tutto corrompe. Da sempre l’etica venatoria, e negli ultimi decenni anche leggi sempre più restrittive, pongono comunque un freno alla stupidità umana purtroppo sempre in agguato.Il vero cacciatore è un modo di essere, uno stile di vita, è rispetto per ciò che si fa e per l’animale cacciato.  Il vero cacciatore è quello che esce con ogni tempo, e in ogni stagione, colui che conosce ogni alba ed ogni tramonto, ne conosce il respiro e la profondità. Egli è davvero il naturalista a 360 gradi ,come da sempre è stato considerato in tutte le civiltà.

Ai nostri figli stiamo invece insegnando ad amare morbosamente  una natura finta dove gli animali parlano, piangono e ridono in una sorta di nuovo panteismo, tanto caro alla moderna cultura ambientalista. Da grandi insegneremo loro che tutto il creato non è nient’altro che un’arena dove si combatte la crudele lotta per l’esistenza. Insegneremo loro che l’Uomo non è null’altro che una scimmia nuda, che i suoi comportamenti sono solo l’esito di banali reazioni chimiche, che tutta la raffinata complessità ed armonia del mondo vivente può essere ridotta in termini di utilità: in uno scenario dove il caso e la necessità la fanno da padroni. Da un’eresia all’altra, dove si sceglie di spiegare la realtà  analizzandone una sola parte. Giunti a questo punto diventa inevitabile affrontare uno dei cavalli di battaglia della  “ cultura animalista” : i diritti degli animali. E’ oramai abitudine consolidata , almeno a parole, riservare agli animali superiori gli stessi diritti previsti per l’uomo.

Purtroppo però tale manovra  all’apparenza legittima è, a mio modo di vedere, culturalmente ed etologicamente scorretta ed ipocrita. Avere gli stessi diritti presuppone possedere gli stessi bisogni. Gli animali non sono piccoli uomini pelosi, non sanno cosa farsene dei diritti che vorremmo affibbiargli. I diritti fondamentali in natura sono quello alla libertà, e quello legato allo sviluppo del proprio specifico programma etologico. Entrambe questi diritti vengono largamente disattesi, per esempio, nel nostro rapporto con gli animali domestici, sia da reddito che da affezione. Per questi ultimi in particolare, da quando sono entrati a far parte integrante  delle nostre famiglie domestiche, hanno cessato in molti casi di essere animali da utilità: cani da caccia che non possono più farlo , cani da gregge rimasti senza pecore, con le logiche conseguenze che questo comporta.

Sottoposti alle nostre morbose attenzioni da un lato, ed alla sempre più scadente capacità di comunicare con loro dall’altro, si vanno sempre più ammalando di quelle forme di patologie del comportamento (ansie e depressioni croniche ) , tanto comuni nel loro partner umano. Patologie queste che sono in piena espansione proprio in quei cani e gatti a cui abbiamo elargito “tutti i diritti “, segregandoli in ambienti cittadini così poco adatti alle loro esigenze profonde. Il diritto alla Vita , tanto sbandierato dalla cultura animalista, non è in natura un diritto acquisito ne per gli animali ne tanto meno per l’uomo, anche se ci sentiamo invincibili, protetti nelle nostre comode città  , purtroppo ogni tanto arriva anche per noi qualche catastrofe naturale a ricordarcelo.

La vita in natura non è un diritto, ma semmai un’avventura, un’esperienza che ci è data, che va accettata anche nelle sue pieghe più dolorose. Le vere crudeltà nei confronti degli animali selvatici sono la distruzione e la frammentazione degli Habitat naturali, che sono invece largamente tollerate in virtù di presunti interessi superiori. Si tenga presente che non mi sto riferendo alla “ solita deforestazione dell’Amazzonia “, ma alla costruzione assurda, inutile e sistematica di strade ed insediamenti umani ovunque, nelle nostre campagne e montagne dietro casa. L’uomo prima ancora di aver bisogno di santuari naturalistici ove fare pellegrinaggi una tantum, ha la necessità di una natura umile e domestica con cui convivere. Nessuno sembra voler prendere coscienza che nell’arco di cento anni siamo passati dal cavallo ed il calesse, alle autostrade a sei corsie intasate di pendolari che frequentemente non superano la velocità di un cavallo e di un calesse. Nessuno pare rendersi conto che l’accellerazione  che la tecnologia sembra aver imposto alla nostra vita, non ha più nulla di umano.

Per la maggior parte della giornata siamo in moto, sempre di corsa, senza mai arrivare. Condannati a produrre ciò di cui non c’è bisogno e a consumarlo per emulazione, in nome di una crescita che rende indispensabile anche l’inutile. Il progresso sta diventando una sequenza circolare di dipendenze che si autogiustificano, diventa un ciclo infinito dove ogni tecnologia viene accettata acriticamente. Senza che nessuno si ponga la domanda davvero cruciale per la sopravvivenza di questo pianeta: quanta e quale tecnologia (con i suoi spaventosi costi energetici ) è davvero necessaria per il nostro benessere fisico e mentale , e per quello degli altri esseri viventi che sono nostri compagni di viaggio su questa terra. Risulta ovviamente molto più semplice prendersela con il prossimo, in questo caso il cacciatore ovviamente crudele ed ovviamente bracconiere, immediatamente posto , nell’immaginario collettivo, allo stesso livello dei peggiori distruttori della natura.

Tutto questo in un pasticcio falso-ideologico , che ci fa sentire tanto migliori degli altri. Altra posizione che trovo francamente incomprensibile è quella che pretenderebbe di categorizzare gli esseri viventi: perché gli animali avrebbero diritto alla vita e le piante no , un ratto avrebbe meno diritti di una volpe? E’ crudele mangiare un pollo e non una pianta? Allora potrebbe essere crudele anche recidere una rosa per farne dono all’amata: crudele ed inutile! Studi molto recenti di neurobiologia vegetale, condotti proprio in Italia, mostrano come anche le piante posseggano caratteristiche funzionali neurovegetative simili a quelle degli animali. Pare proprio che anche i vegetali si diano da fare per sopravvivere , dormono , comunicano ed imparano. Anche loro sanno difendersi, difendere il proprio territorio e le proprie fonti di sostentamento.

Chi in coscienza può dire dove cominciano e dove finiscono i diritti di ogni essere vivente? Chi siamo noi per giudicare quanto può essere senziente ( altro termine caro alla cultura animalista ) una pianta o un animale? E’ sufficiente questo per innescare una spirale di odio e sospetti verso coloro che  non hanno la nostra stessa visione del mondo? Chi sono Costoro che vedono crudeltà ovunque e vorrebbero fare sentire in colpa noi, e i nostri avi, perché abbiamo osato “ mettere a morte “ degli animali per nutrircene. Ma soprattutto quale utilità ha davvero un tale atteggiamento per il benessere animale? Non è forse vero invece che il mondo dei nostri Nonni, il mondo contadino che cacciava e pescava, ed aveva un rapporto vero e partecipato con la natura, ha traghettato fino a noi una terra vivibile, con tutti i suoi difetti ma vivibile?

Il Mondo moderno pieno di buoni sentimenti ecologisti, questo pianeta lo sta invece distruggendo. Mi spiace contraddire questi novelli paladini della morale, spesso vegetariani per scelta etica ed al contempo violentemente anticaccia. L’unica vera legge che tutti ci accomuna è questa: ogni essere vivente per sopravvivere deve nutrirsi di altri esseri viventi, la morte è indispensabile alla vita, come in una universale epifania di comunione.  Caccia o non caccia il ciclo biologico della vita e della morte, che tanto li disgusta, continuerà a scorrere. Lepri e Volpi in un ambiente che comunque non è più quello delle origini, continueranno a morire di fame , di malattie e di predazione più o meno naturale (automobili, veleni , trappole ecc..).

L’interazione Uomo / Animale continuerà a compiersi, semplicemente seguirà altre strade, che ritengo saranno meno vantaggiose per la specie cacciata e per l’ambiente nel suo complesso. Si pensi solo nella situazione inglese( che qui  fa da filo conduttore), al taglio dei “Coverts “, le magnifiche fasce di bosco naturale che in quel paese circondano le zone arabili, e che così vengono lasciati perché territorio di caccia. Nel momento in cui non servissero più per quello scopo gli agricoltori anglosassoni li taglierebbero per fare spazio ad una agricoltura più razionale, con grave danno per tutta la fauna selvatica. Un’altra delle “ Vittorie “ ambientaliste! In sostanza, quelle campagne sono popolate da agnelli ed ogni altro tipo di animali domestici, un controllo degli animali selvatici e dei predatori in particolare, risulta inevitabile. Si tratta soltanto di scegliere tra una tradizione consolidata che ha mostrato nei secoli la propria indiscutibile capacità di gestione del territorio, ed altre strade di cui non si conosce la validità.

Studi al proposito, condotti proprio di recente in Inghilterra e Galles, hanno comparato territori di caccia sottoposti a wildlife management, cioè tutti quegli interventi di controllo delle popolazioni animali e vegetali, con zone lasciate senza nessuna  forma di intervento umano. Ebbene le prime si sono dimostrate inequivocabilmente superiori per quanto riguarda tutti quegli indicatori di biodiversità e salute ambientale. I cacciatori ed i pescatori, cioè coloro che si occupano di tutte queste forme di intervento e ripristino ambientale, lo sapevano già, essi sono i primi ad interessarsi ad un ambiente sano ed equilibrato in tutte le sue componenti. Si provi a girare per l’Europa: Francia, Germania, Inghilterra, Paesi dell’est, e vi renderete conto che dovunque la caccia è prima di tutto salvaguardia dell’ambiente. Gli ultimi angoli della splendida foresta planiziaria che un tempo ricopriva il nostro continente sono giunti sino a noi, strappati alla imperversante rivoluzione industriale degli ultimi secoli, solo perché erano riserve di caccia. E così è anche per i tanti parchi nazionali, che la tronfia propaganda ambientalista si arroga a proprio merito.Nello stesso nostro martoriato paese, gli stessi cacciatori sono prima di tutto vittime che artefici delle devastazioni naturali: posso assicurare che a nessuno piace cacciare tra strade e palazzi, per di più ingiustamente colpevolizzato.

L’errore di fondo di molta cultura ambientalista è quello di ragionare come se l’uomo non dovesse esistere o come se la presenza antropica rappresentasse esclusivamente un fattore negativo. Manca lo sforzo di guardare ai problemi nella loro complessità, e non soltanto dal punto di vista emotivo della “ povera bestiola “ ingiustamente perseguitata. E’ divenuta oramai consuetudine nei moderni paesi occidentali, applicare le regole della maggioranza a colpi di sondaggi d’opinione oppure agitando lo spauracchio di un qualche Referendum, largamente coadiuvati in questo dai Mass- Media , che tutto amplificano e spesso tutto distorcono. Ribadisco un concetto fondante della democrazia: una qualsiasi attività umana praticata da una minoranza della popolazione deve essere valutata a termini di legge, sulla sua utilità sociale, e sulla sua capacità o meno di ledere i diritti della maggioranza. In pratica sui suoi valori e sulle sue negatività, e non certo sul gradimento sempre mutevole  e poco obiettivo delle masse, assai facilmente influenzabili.

Imporre le proprie idee e la propria sensibilità al prossimo, quando mancassero i presupposti ricordati, seppure in forza di una legge votata dal parlamento, rappresenta un grave atto di illibertà ed intolleranza. A tutti i colleghi cacciatori voglio rammentare: siate orgogliosi di esserlo, ma non dimenticate che siete depositari e responsabili di una cultura millenaria di cui il mondo moderno ha ancora bisogno, non barattatela con i sui sottoprodotti. Rivendichiamo il nostro diritto ad essere diversi con sensibilità ed intelligenza. Denunciamo con la sola nostra presenza l’eccessivo prezzo pagato all’avanzare della modernità, la vendita dell’anima in cambio della televisione. Qualcuno ha scritto con molta incisività: “Bellezza e Morte sono spesso sorelle “, contengono cioè un enigma, rivelano una profondità, sono contemporaneamente terribili e feconde. Senza Bellezza e Morte, in pratica non esisterebbero la poesia e l’arte.

Non per nulla il nostro tempo così dissipato e superficiale, rimuove la morte dal proprio orizzonte e umilia la bellezza con una volgarità sempre più aggressiva. L’uomo autentico sa invece stupirsi della Bellezza per il suo splendore spesso segreto, sa guardare negli occhi la Morte per scoprirne il senso ultimo che non è dissoluzione ma luce, che non e silenzio ma rivelazione. Per migliaia di anni l’interazione Uomo/ambiente ha sempre dato origine ad un equilibrio sostenibile in armonia con la natura, e la caccia ne era parte integrante. Solo negli ultimi due secoli l’Uomo ha stravolto i ritmi biologici. Negli ambienti fortemente antropizzati gli equilibri originari sono andati perduti, ed è nostra precisa responsabilità farcene carico. Compito dell’Uomo è scegliere i tempi ed i modi più rispettosi dei cicli vitali, ed a me pare che la caccia con i segugi, proprio perché la più antica e più vicina ai modelli naturali di predazione, sia la più adatta allo scopo.

Uno degli slogan preferiti dal fronte animalista è quello secondo il quale in una società civile non c’è posto per un’attività sanguinaria come la caccia, ma gli animali selvatici non fanno parte dell’umana società civile, ed è davvero un’ipocrita semplificazione immaginare la natura selvaggia come il proprio giardino di casa. L’ideologia dei  “Diritti degli Animali” è intrinsecamente fondamentalista ed intollerante e diviene prima o poi violenta ed opprimente, gli esempi in tutto il mondo oramai si sprecano.Liberiamoci da questi incubi travestiti da sogni , che vorrebbero imporci un mondo senza sofferenza, senza morte e senza dolore. Rigettiamo quella falsa idea di progresso secondo la quale tutto ciò che è moderno, è buono e positivo, mentre tutto quello che viene dal passato sarebbe da abbandonare perché reazionario e superato.

Amiamo gli animali, e proteggiamo i loro ambienti, ma accettiamo il leale confronto con la natura selvaggia e le sue leggi, vivendone a fondo la loro importante valenza educativa.

Giunti a questo punto, mi urge un’ultima domanda semplice e terribile:

MA IN QUALE MONDO VIVIAMO?

Un mondo nel quale si rivendica come diritto inalienabile quello di poter sopprimere una vita umana ancora nel grembo della madre, ma al tempo stesso ci si indigna perché altre persone vogliono rimanere ancorati alle proprie radici, vogliono continuare a sentirsi parte integrante del ciclo biologico per eccellenza: quello della vita e della morte. Un mondo nel quale si assaltano i laboratori scientifici per porre fine, si dice , ad inutili e crudeli esperimenti sugli animali, ma egualmente si pretende di poter liberamente sperimentare sugli embrioni umani in nome del progresso scientifico.

In quale mondo viviamo? Siamo davvero divenuti più sensibili nei confronti della vita, o non siamo invece preda di un oscuro senso di colpa, dal momento in cui ci siamo rivoltati contro di essa?

La risposta datela voi io non la so trovare.

Palmiro Clerici

 

 

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